Luoghi dell' Infinito > Luigi Caccia Domininioni, chiese come paesaggi

Luigi Caccia Domininioni, chiese come paesaggi

Intervista al grande architetto, scomparso nel novembre scorso, tra i più attenti costruttori di edifici per il culto del Novecento

​Luigi Caccia Dominioni (Milano, 7 dicembre 1913 - Milano, 13 novembre 2016), architetto, è stato, con personalità quali Ignazio Gardella e i fratelli Castiglioni, tra le figure più rappresentative dell’architettura e del design del secondo dopoguerra a Milano. Col marchio Azucena, Caccia Dominioni ha prodotto sedie, tavoli, poltrone, complementi di arredo che restano tra i fiori all’occhiello del design italiano. Ma senza dubbio è nell’ambito dell’architettura delle chiese che ha ideato le opere più intense e significative. Questa intervista, inedita, è stata realizzata il 24 marzo 2016 nella sua casa milanese.
Architetto, nel corso della sua lunga carriera ha progettato molte chiese. Che cosa rappresenta per lei questo tema particolare?
Vivo a Milano, davanti alla basilica di Sant’Ambrogio, una delle più belle chiese della città. Ne ho osservato l’architettura sin da quand’ero bambino, sono cresciuto avendola davanti agli occhi. Per me la chiesa è un po’ come una porta sul mondo. O come un mondo che sta un po’ fuori da questo mondo nostro: c’è il quadriportico col sagrato poi la facciata, e poi la chiesa. Ed è un brano di paesaggio che diviene anche luogo di culto. Il progetto della chiesa è inteso come momento qualificante per lo spazio urbano, perché qui si riconosce la comunità nel nome della pace e della condivisione. E, poiché la bellezza sorge là dove l’edificio aiuta a sentirsi a proprio agio, si richiede che la chiesa sia anzitutto accogliente.
Qual è il luogo da cui comincia a dar forma al progetto, quando si tratta di un edificio sacro?
L’altare. Il progetto della chiesa nasce dal centro dello spazio per la celebrazione e da lì si irraggia tutto intorno per definire il complesso architettonico nella sua totalità, sino alle facciate e al rapporto con l’ambiente circostante. La chiesa è prima di tutto il luogo dove si riunisce l’assemblea, e l’altare è il luogo attorno al quale ci si raccoglie. Bisogna partire da lì e poi andare verso l’esterno.
Alcuni dei suoi altari sono ricurvi, per esempio nella chiesa di Arenzano: è un fatto inconsueto, come mai ha compiuto questa scelta?
Perché tra altare e fedeli si stabilisca un rapporto frontale, dovunque essi si trovino. E nella chiesa di Arenzano, come anche in quella di Morbegno, l’assemblea si dispone a ventaglio, in modo avvolgente, non solamente in una direzione. Con la forma ricurva si ottiene una frontalità diretta, rivolta verso tutti coloro che stanno a raggiera attorno all’altare. Se il progetto comincia dal centro focale della celebrazione, poi deve tenere conto di quanto l’attornia. Anche dei percorsi di avvicinamento alla chiesa per esempio, o del panorama circostante. È quindi importante che di fronte alla facciata vi sia una piazza, perché non sarebbe appropriato passare dalla strada direttamente nell’aula liturgica: ci vuole uno spazio intermedio, che funga anche da luogo introduttivo. Per questo nella chiesa di San Giorgio a Settimo Milanese abbiamo anche disegnato le strisce sulla pavimentazione del sagrato: aiutano chi arriva a indirizzarsi verso la chiesa. Mentre il grande timpano vetrato insieme con la rientranza del portale intende dimostrare che questa è proprio una chiesa, e si richiama alle architetture storiche.

di Giovanni Gazzaneo e Leonardo Servadio