Ligabue, il ringhio del colore
Sui luoghi di “Toni al matt”, pittore tragico, che trasformò le rive del Po in una ridda di belve
Mi pareva di sentirli quei versi da bestia mentre andavo per i paesaggi di Gualtieri, monocolori nella bruma invernale, in cerca dell’aura del pittore. Avevo ancora negli occhi il documentario di Raffaele Andreassi, Antonio Ligabue pittore, testimonianza di tragedia e dolore che mostra le movenze animalesche di Toni in riva al fiume: era il 1962, tre anni prima della morte al Ricovero di Mendicità Carri di Gualtieri. Le sequenze indugiano sul primo piano del suo volto animalesco che si sdoppia nello specchio, sformato da vagiti selvaggi. Se uno le guarda restano nel subconscio con una forza inestricabile.
Mentre su indicazione di Orazio Simonazzi vagavo tra i boschi del Po in cerca della casupola diroccata di Toni, una di quelle casette della golena, sotto gli alberi, dove viveva lontano da tutti, mi pareva che i suoi occhi sgranati, nerissimi, mi fissassero da dietro ogni tronco di pioppo. «Si nascondeva a osservare l’intruso», racconta Orazio, «diffidente, fremente come un felino prima dell’attacco». Orazio è di Gualtieri: suona, restaura e costruisce violini. Oggi ha 83 anni, ne è passato di tempo da quando, giovinetto al conservatorio di Parma, suonava il violino nella sua casa in golena, eppure ricorda come fosse ieri quando Ligabue, attratto dalle note di Verdi e Wagner, si fermava ad ascoltare nascosto dietro ai salici. «Smettila di suonare», diceva la madre, «non vedi che Toni piange?».
di Paolo Simoncelli