Luoghi dell' Infinito > Le forme del divino

Le forme del divino

Nella storia delle religioni il rapporto tra bello e sacro ha configurazioni differenti

​Franco Cardini
“Fede e Bellezza”, il binomio che Nicolò Tommaseo ha fatto divenire un’espressione proverbiale, è qualcosa che riguarda in pieno e in esclusiva il mondo cristiano e in particolare, su due differenti versanti, quello cattolico e ortodosso. Il Tommaseo, difatti, al mondo greco era particolarmente legato. Non c’è pertanto da stupirsi se, dicendo “Fede e Bellezza”, Tommaseo chiama e Florenskji risponde.
Anche per ebrei e musulmani la bellezza è un attributo di Dio: ma a essa si giunge attraverso la legge e la mistica, non la fede. Quest’ultima è patrimonio esclusivo dei cristiani, “sustanza di cose sperate / e argomento de le non parventi”. La fede non è (a differenza di quanto molti, anche cristiani, pensano) la credenza che Dio esista: è la certezza dell’adempimento delle profezie attraverso incarnazione, morte e resurrezione di Gesù Cristo, attraverso il quale il Mistero si fa Via, Verità e Vita. Il cristianesimo condivide con ebraismo e islam la partecipazione al patto di Dio con Abramo: ma alla Legge che ne deriva – e che è espressa nella Lettera che può uccidere – sostituisce lo Spirito che vivifica. Ciò distingue d’altronde i tre sistemi religiosi abramitici, radicati nella storia e nella trascendenza – e la fede cristiana in modo speciale –, da quelli mitico-religiosi fondati sul linguaggio mitico e sull’immanenza. Quelle cioè che i cattolici definiscono di solito (con espressione per la verità ambigua) “religioni naturali” (contrapponendole ovviamente alle tre rivelate).
In queste “religioni naturali”, nelle quali sono inclusi tutti i sistemi mitico-religiosi dell’antichità al di fuori dell’“eccezione abramitica”, l’idea del divino – assuma esso la forma dell’unicità o della molteplicità delle figure mitiche dalle quali è rappresentato – è espressa in quel particolare, ineffabile senso che siamo abituati a definire il sacro, la sacralità, e che un grande scienziato, Rudolf Otto, ha genialmente definito il Ganz Anderes, cioè il “totalmente Altro”, il “del tutto differente” rispetto alla natura umana. Il sacro può essere intuibile, percepibile, perfino sperimentabile: ma non è razionalmente descrivibile ed è immaginabile soltanto per analogia, per speculum et in aenigmate.