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La pelle delle metropoli

Dalla città-macchina alla città-giardino, le utopie si stanno concretizzando nella sostenibilità

​«Come gli antichi trassero ispirazione dagli elementi della natura, noi – materialmente e spiritualmente artificiali – dobbiamo trovare quell’ispirazione negli elementi del nuovissimo mondo meccanico che abbiamo creato, di cui l’architettura deve essere la più bella espressione, la sintesi più completa, l’integrazione artistica più efficace». Così scriveva Antonio Sant’Elia nel suo Manifesto dell’architettura futurista, nel pieno fervore della passione per la meccanica. E più ancora delle parole parlano i suoi disegni: raffigurano città dove le strade sono invase da fiumane di auto, dense di grattacieli con ascensori in evidenza sulle facciate, punteggiate da alti comignoli fumanti. Era il 1914, quando il nazionalismo schiudeva le porte ai conflitti che, con l’impeto tecnologico reso forza distruttiva, avrebbero stravolto il secolo; l’epoca del trionfo del razionalismo estremizzato in una sorta di agognante impulso a idolatrare le possibilità di forgiare oggetti capaci di muoversi, correre, volare, fare rumore.
«Sentiamo di non essere più gli uomini delle cattedrali, dei palazzi, degli arengari – argomentava Sant’Elia elaborando il suo sogno di opere intrise di velocità – ma dei grandi alberghi, delle stazioni ferroviarie, delle strade immense, dei porti colossali, dei mercati coperti, delle gallerie luminose, dei rettifili, degli sventramenti salutari». Che questo pensiero non fosse così utopico è dimostrato dal fatto che quanto per lui era un ideale da raggiungere, per noi oggi, a un secolo di distanza, è una realtà incombente, e quel che egli vedeva come desiderio da inseguire s’è fatto spesso incubo da rifuggire.
Non che mancassero città inquinate già alla svolta tra XIX e XX secolo: Londra era da oltre un secolo il paradigma dell’area industriale piena di smog, termine che fu coniato proprio per indicare la sua tipica mistura di fumi (smoke) e nebbia (fog). E da decenni anche nella valle della Ruhr i grandi impianti produttivi irreggimentavano masse di operai sotto cieli oscurati dai miasmi. Mentre a Chicago e New York cominciavano a prendere forma panorami urbani irti di grattacieli, e nelle loro vie a migliaia rombavano le Ford modello T.

di Adele Villani