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La frontiera cristiana dell'Europa

Il legame con la Chiesa di Roma è uno dei tratti fondamentali della millenaria e tormentata storia della Polonia

​I Polacchi appartengono al grande mosaico dei popoli detti Slavi, gli idiomi dei quali si rifanno – secondo la classificazione tradizionale oggi ritenuta inaffidabile – al gruppo “satem” dell’universo linguistico indoeuropeo. Le tribù slave insediate tra Vistola e Oder entrarono in contatto nel IX secolo con i missionari greci guidati da Metodio, fratello di Cirillo di Tessalonica. La minacciosa prossimità dei Tedeschi, uniti nel regno soggetto a Ottone I di Sassonia, fu in un primo tempo ostacolo sia alla conversione di quelle tribù secondo il magistero della Chiesa greca, sia al loro avvicinamento al cristianesimo latino del quale la cultura ottoniana era portatrice.
Nel 966 comunque il capotribù Mieszko, che dopo accesi scontri si era piegato alla volontà di Ottone I venendo riconosciuto come “duca” (dux), vale a dire come guida del suo intero popolo, dette avvio alla dinastia dei Piasti accettando la conversione e avviando subito la cristianizzazione dei sudditi. Egli fu sostenuto in quella sua decisione dalla vicinanza della dinastia boema dei Premyslidi, a sua volta vassalla del regno di Germania ma da Mieszko a ragione considerata meno pericolosa per l’indipendenza nazionale rispetto all’invadenza tedesca. Il passo successivo del duca polacco consisté nello stringere buoni rapporti con Roma, a cui la Polonia sarebbe rimasta sempre molto legata. A papa Silvestro II, che era molto di più di un “cappellano di corte” di Ottone III, spetta l’avere intuito la straordinaria importanza delle società cristiane che stavano sorgendo a est del mondo tedesco: egli promosse l’evangelizzazione delle genti slave, sostenne l’istituzione di loro Chiese nazionali, rese possibile la fondazione dell’arcivescovado di Gniezno.
A loro volta, anche i Polacchi si fecero insieme con i Boemi promotori di numerose missioni presso gli Slavi che popolavano le regioni orientali e l’estuario dell’Oder. Il vescovo Adalberto da Praga fu protagonista di una sfortunata missione: nella sua Vita si racconta difatti come gli Slavi, sobillati dai loro sacerdoti, interpretassero la predicazione del vescovo e dei suoi discepoli come preludio dell’aggressione politica e militare voluta da Ottone III e dai Piasti. Anche se in modo involontario, emerge dalla biografia di Adalberto quanto gli Slavi avvertissero l’importanza del mantenimento del culto tradizionale per la conservazione di un’identità etnico-politica; gli eventi successivi, che condussero spesso alla sottomissione militare e all’annientamento culturale di quell’etnia, sembrano in effetti confermare la fondatezza di tali timori. Nonostante i risultati pressoché nulli ottenuti dalla sua missione, il martirio e il culto di Adalberto assunsero grande importanza in quanto interpretavano la volontà congiunta delle due dinastie maggiormente interessate all’espansione verso est, la tedesca e la polacca.

di Franco Cardini