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Il volto di Cristo nello specchio dell’arte

Sono di Piero della Francesca, Raffaello, Michelangelo i volti più belli di Cristo mai rappresentati

​Antonio Paolucci
Tre volti di Cristo, tutti e tre capolavori assoluti, apici della nostra storia artistica. Il primo è il Risorto di Piero della Francesca, custodito nel Museo Civico di Sansepolcro. La Resurrezione, oggi all’interno del percorso museale, in origine collocata sulla parete di fronte all’antico ingresso del Palazzo Civico, altro non doveva essere, nelle intenzioni dei committenti, che un emblema politico. Anzi, doveva svolgere propriamente la funzione di stemma della città, la quale dal sepolcro di Cristo e dalle reliquie che vi portarono dalla Terra Santa i leggendari pellegrini Egidio e Arcano prende il nome. Come altre volte nella sua carriera, il pittore fu costretto a muoversi dentro lo schema di una iconografia obbligata. Da ciò la perfetta centralità e frontalità del Cristo risorto, la semplificazione geometrica del sarcofago, la dislocazione simmetrica degli alberi in secondo piano e dei soldati sul proscenio, «riversi come quattro spicchi di un frutto» (Roberto Longhi), due addormentati e due semidesti, abbacinati dalla sublime visione.
All’interno di uno schema così pericolosamente semplificato, Piero della Francesca gioca innanzitutto di astuzia prospettica immaginando due punti di vista: uno assai basso che coinvolge il sarcofago insieme al gruppo dei dormienti, un altro più alto che investe il volto e il torso del Risorto. La conseguenza è che risulta amplificato, a motivo dell’emergenza plastica delle figure in primo piano enfatizzate dallo scorcio, l’incombere del Cristo vincitore della morte, baluardo incrollabile della città che lo ha eletto a suo protettore, maestosamente frontale come il «pantocratore di una cattedrale bizantina» (Kenneth Clark). Oggi, il restauro recente condotto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze ci permette di apprezzare l’affresco in tutte le sue sottigliezze pittoriche. Ecco allora la scelta di ambientare la Resurrezione nelle prime luci di un’alba primaverile, quando il cielo trascolora dal grigio all’azzurro perla e le nubi si tingono di rosa, dello stesso rosa glorioso di cui splende il manto del Salvatore, così che la sua ascesa dal sepolcro è metafora del sole nascente. Cristo vincitore delle tenebre è “renovatio mundi” per cui la natura, al pari della umana condizione, cambia pelle e gli alberi, a sinistra ancora spogli e come rappresi nel gelo invernale, verdeggiano di fronde sulla destra. Il significato cosmico trasfigura in emblema teologico, perché il sepolcro quadrangolare assomiglia a un altare e il Cristo risorto si eleva come l’ostia nella consacrazione eucaristica.