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Il seme di Loppiano

Quella in Toscana è la prima “mariapoli” dei Focolarini. Qui la fede è internazionale

​Tamara Pastorelli
I lunghi raggi rossi del sole al tramonto filtrano tra i filari di un vigneto in collina. Una bambina in gita tiene tra le mani il frutto della caccia al tesoro che per tutta la giornata l’ha fatta scorrazzare, assieme agli amici della parrocchia, su di un poggio del Chianti, nel Valdarno fiorentino.
Il tesoro consiste in una manciata di bigliettini stropicciati, scritti in stampatello che, letti in ordine, formano un motto: «Amare tutti, sempre, subito e con gioia». I grandi che vivono lì – un popolo multietnico, composto non solo da italiani ma anche da brasiliani, coreani, filippini – spiegano che, per comprendere il valore di quella frase-tesoro, bisogna provare a viverla: a casa, con i genitori, con i compagni di scuola, gli amici e anche i nemici; e che per loro quello è anche il segreto della felicità. Qualche ora dopo, quella bambina e i suoi amici ripartono, portandosi via quel luminoso tesoro diventato proposito, che poi è anche la legge del luogo che hanno appena visitato.
Erano gli anni Ottanta, e quello fu il mio primo incontro con la mariapoli di Loppiano, la prima delle venticinque cittadelle del Movimento dei Focolari sparse nel mondo. “Mariapoli”, cioè città di Maria, come venivano chiamate le esperienze temporanee che già verso il 1949 fiorivano nei periodi estivi sulle Dolomiti di Primiero intorno a Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento. Bozzetti di una società nuova, in cui i partecipanti, persone delle più varie età, estrazioni sociali, razze, nazionalità e vocazioni, sperimentavano la potenza rivoluzionaria della legge evangelica dell’amore: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi». Tanto che a un certo punto si chiesero: «Perché non trasformare queste convivenze da temporanee in permanenti?». Fu così che, nel 1963, questo sogno incrociò il destino di alcuni terreni della “Fattoria Loppiano”, una tenuta della famiglia di imprenditori bresciani Folonari: cento ettari coltivati a viti e ulivi, oggi nel comune di Figline e Incisa Valdarno, in provincia di Firenze. La proprietà, una società per azioni, fu portata “in dote” da Vincenzo e Camilla, due dei quattro Folonari che avevano lasciato gli agi e i titoli per darsi tutti a Dio nel focolare, la strada di consacrazione laicale aperta da Chiara Lubich.

 

Il piccolo grande segreto della “cittadella” di Loppiano
Piero Coda
Forse nessuna pagina, tra le molte scritte lungo i secoli dai discepoli di Gesù, esprime così bene il paradosso della vita cristiana come quella, risalente al II secolo, vergata dall’anonimo autore della Lettera a Diogneto: «I cristiani abitano la loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e sopportano tutto come stranieri; ogni terra straniera è loro patria e ogni patria è terra straniera […]. Trascorrono la vita sulla terra, ma hanno la cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite e superano le leggi con la loro vita. […] Sono poveri e arricchiscono molti; mancano di tutto e abbondano in tutto. […] Per dirla in breve, come l’anima è nel corpo così sono i cristiani nel mondo».
Questa pagina, confesso, mi ha sempre affascinato perché dipinge a magistrali pennellate la tensione irriducibile che connota da cima a fondo, in tutte le sue espressioni, l’abitare dei cristiani la città terrena essendo al tempo stesso cittadini della città celeste. Un po’ quel che sant’Agostino argomenterà circa due secoli dopo ne La città di Dio. Ma mai avrei immaginato di poter sperimentare così intensamente questo paradosso come da dieci anni ormai mi accade, essendo diventato cittadino di Loppiano. Perché cercare di esprimere il segreto di questa “cittadella” – com’è ormai uso definirla – significa cercare di esprimere questo paradosso. Né più né meno.