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Il respiro dei monti nei versi della Dapunt

Ritirata nel suo maso in alta Val Badia, la poetessa ritrae un mondo fatto di neve e di pascoli, di malattia e di spiritualità

Un ritratto di Roberta Dapunt

Un ritratto di Roberta Dapunt

​Nella stalla di Ciaminades le mucche ruminano i prati estivi, le erbe e i fiori falciati che il silente ronzio e l’ascetico cammino verso il prosciugamento hanno trasformato in fieno. Buio al mattino quando la stalla viene aperta, buio a sera alla chiusura. L’orto ha concluso il suo tempo di mescolanza di sinergiche e poetiche consociazioni tra utile e bello, rape e calendule, fiordalisi e sedano, rose e lamponi. Molte essenze sono state raccolte al tempo giusto e poste a seccare per le tisane. «Tutto è qui nella riservatezza rurale che ripeto / mattina e sera, spesso unico sentiero / che pesto come a passeggio verso casa». Per Roberta Dapunt il maso di Ciaminades, in alta Val Badia, è luogo di vita e laboratorio di poesia, radicato e comunitario eremitaggio, largo orizzonte dello sguardo al richiamo del mondo e meta di costante ritorno. Recenti le letture di poesia in Germania, dove il suo libro Nauz (Folio, 2012), scritto in ladino e tradotto in tedesco, è stato nominato tra gli undici libri più importanti del 2013 in ambito germanofono dall’Accademia tedesca per la lingua e la letteratura e dal Lyrik Kabinett.
 
Una scelta di ruralità quella di Roberta Dapunt, che ha deciso di condividere con la famiglia il maso ereditato dal marito Lois Anvidalfarei. L’indivisibilità della proprietà agricola attraverso la costituzione del “maso chiuso” con il passaggio ereditario a un unico figlio, sancita da Maria Teresa d’Austria nel 1775, è stata riconfermata dalla legge del 2001 della provincia autonoma di Bolzano, che pur rivedendone alcuni aspetti ha mantenuto saldo lo spirito dell’istituto giuridico, uno dei valori tradizionali della millenaria cultura ladina, grazie al quale sono stati garantiti il rispetto del territorio e l’identità della vocazione agricola della Regione. Una scelta soprattutto in nome di un ideale, quello di dare continuità e linfa vitale alla tradizione rurale e alla vita della montagna attraverso il ciclo degli animali e degli alpeggi.
 
In nome di un rigore, quello di non sottrarsi all’impegno morale e materiale che erba dopo erba, fieno dopo fieno, letame dopo letame ha dato un senso profondo, garantendo la sopravvivenza, a secoli di generazioni in una terra di confine. Il rigore è il solco della vita quotidiana che lega terra e stagioni, poesia e silenzio, e che lungo i secoli ha intriso le pareti della stüa (in tedesco Stube: è una stanza completamente rivestita in legno) di rituali religiosi, la lunga litania delle avemarie alla fine del pranzo, ogni giorno, mai interrotte, mai interrogate. In quest’esperienza è la genesi della poesia della Dapunt, confluita nella prima raccolta La terra più del paradiso (Einaudi, 2009) dove i riti della ruralità intrecciandosi alle cadenze della fede creano un ritmo poetico orante, preghiera come eco che riemerge dalla memoria illuminata dalla fascinazione......
 
di Costanza Lunardi