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Il fiume nero del progresso

Inquinamento, cemento e avidità portano distruzione. Ma l’equilibrio tra natura e cultura è ancora possibile

Quando si aprirono le cateratte che regolano il flusso del canale proveniente dalla zona industriale, le acque del fiume annerirono ed emanarono vapori nauseabondi. Già era accaduto che alcune persone svenissero camminando a lato del canale. Il fiume è lo Huai e la città attraversata dal fetido canale è Fuyang. I fatti, riportati da Elizabeth C. Economy nel volume The river runs Black: the environmental challenge to China’s future (“Il fiume scorre nero: la sfida ambientale per il futuro della Cina”), uno studio sulle condizioni ambientali del bacino dello Huai, si riferiscono alla svolta del millennio, quando ci si chiedeva se quella zona, considerata il granaio del colosso d’Oriente, sarebbe sopravvissuta all’inquinamento.
L’area in questione si trova a nord di Shanghai, tra il Fiume Giallo e lo Yangtze (il Fiume Azzurro) nel quale lo Huai confluisce. È grande quanto l’Italia continentale (con esclusione delle isole) e qui gli introiti pro capite sono relativamente elevati non solo perché la terra è fertile ma anche perché vi si estrae petrolio e il numero di corsi d’acqua navigabili rende facili i trasporti oltre a favorire la pesca. Tutto questo vi ha attirato innumerevoli insediamenti industriali: sono sorte cartiere e industrie chimiche, a migliaia. E lo Huai è diventato uno dei fiumi più inquinati della Cina, testimone della drammatica lotta che si instaura tra uomo e natura quando l’opera costruttiva non conosce misura.......

di Leonardo Servadio