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Il cuore di Bergamo

I tre corpi in cui si articola il Diocesano sono una risposta esemplare alle sfide a cui sono chiamati i musei religiosi oggi

​Il 26 agosto 1961, festa di Sant’Alessandro, patrono della diocesi e della città di Bergamo, veniva inaugurato, in spazi appositamente dedicati accanto all’Episcopio, il Museo diocesano di arte sacra. Apriva per volontà dell’allora vescovo di Bergamo Giuseppe Piazzi e grazie all’impegno competente di monsignor Luigi Pagnoni, nominato dal vescovo primo direttore della nascente istituzione. Questa decisione, che prendeva corpo in un esplicito impegno ecclesiale sul fronte del patrimonio artistico, condensava una sensibilità che veniva da lontano.
Il nuovo museo sarebbe nato difatti attorno alla collezione che a partire dagli anni Trenta monsignor Adriano Bernareggi aveva raccolto con una certa determinazione attingendo, talvolta con l’esplicita volontà di mettere in salvo oggetti in pericolo, dalle ricchezze del territorio diocesano. Il Museo diocesano in quell’agosto del 1961 incarnava dunque una ennesima tappa di quel precoce e ammirevole interesse che la diocesi di Bergamo aveva potuto coltivare soprattutto grazie al colto discernimento pastorale del vescovo Bernareggi, uomo di spiccata sensibilità liturgica, in attento ascolto della cultura teologica francese, sensibile ai grandi movimenti di rinnovamento che andavano preparando la strada al Concilio Vaticano II.
Sul sentiero aperto da questa prima intuizione continuava a camminare dunque l’impegno del vescovo Piazzi, deciso a mettere a frutto il lavoro di Bernareggi, trasformando una remota opera di riscoperta in una più strutturata volontà di custodia. Questo avveniva negli stessi anni in cui si metteva all’opera l’epocale discernimento conciliare, presagendone già sensibilità in via di maturazione, tradotte puntualmente in scelte pastorali di cui l’istituzione di un museo diocesano era delle più nuove e delle più interessanti. Si collocava infatti in quella parabola della cultura cristiana, pastorale e teologica, che andava maturando quella che poi sarebbe stata una vera riscoperta della dimensione estetica come proprium della fede.
Su questo sfondo più complessivo dunque la Chiesa bergamasca, nel limite del suo contesto, si muoveva, tra le prime a recepire l’aleggiante ritorno della bellezza nel cuore del discorso cristiano; e lo faceva nella scelta concreta dell’istituzione di un museo diocesano.

di Giuliano Zanchi