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Dosso Dossi

A Trento una mostra sul geniale ed eccentrico pittore ferrarese

Fuga in Egitto (1514-1516 circa), olio su tavola. Firenze, Galleria degli Uffizi.

Fuga in Egitto (1514-1516 circa), olio su tavola. Firenze, Galleria degli Uffizi.

​Non gradì il buon Vasari che l’Ariosto nell’Orlando enumerasse nel canone occidentale della pittura moderna, a mezzo tra «Leonardo, Andrea Mantegna, Gian Bellino» e «quel ch’a par sculpe e colora, Michel, più che mortale, Angel divino / Bastiano, Rafael, Tizian» i «duo Dossi», ossia Dosso e il suo fratello minore Battista, pittori della corte ferrarese di Alfonso d’Este dove l’immaginifico poema del furioso prendeva vita e ali. Una lode del tutto immeritata quella contenuta nel canto XXXIII, sosteneva l’autore delle Vite, «di maniera che al nome del Dosso diede più nome la penna di messer Lodovico universalmente, che non avevano fatto i pennelli et i colori che Dosso consumò in tutta sua vita».

Troppo refrattario Dosso rispetto alla linea che Vasari stesso stava tracciando – il primato della maniera fiorentina fondata sul disegno di contro al colorismo veneto –, pittore eccentrico, ultimo erede di quella “officina ferrarese”, come la definì Longhi, che all’ortodossia del classico preferiva uno sperimentalismo fantastico. Colpisce la libertà di movimento di Dosso al di fuori di griglie, che lo rende ai nostri occhi così moderno, capace di oscillare tra la grande maniera e le fronde della pittura padana, dal Romanino ad Aspertini, che al di fuori delle corti, sulla scia dei venti del Nord, difendono una pittura naturalista, anarchica, persino dialettale. Eppure, in un finale forse inatteso, anche Dosso dovrà cedere ai «demoni etruschi» (ancora Longhi) che dall’Italia centrale salgono a colonizzare le rive del Po......

di Alessandro Beltrami