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Dante poeta del cielo, poeta della terra

A partire dalla Lettera Apostolica di papa Francesco la grande eredità cristiana dell’autore della Commedia

​Gianfranco Ravasi

Era il 1921 e cadeva il sesto centenario della morte di Dante (Firenze, tra mag­gio e giugno 1265 - Ravenna, notte tra il 13 e il 14 settembre 1321): papa Benedetto XV non esitava a commemorare quell’evento con un’enciclica, In praeclara summorum. Nel 1965 era invece il settimo centenario della nascita e Paolo VI si affidava alla Lettera Apostolica Altissimi Cantus: in essa egli dichiarava tutta la sua ammirazione (per altro dimostrata in vari altri interventi) per il Poeta per eccellenza, mentre ai Padri del Concilio Vaticano II consegnava un’edizione della Divina Commedia. Ora, nel 2021, settimo centenario della morte, come è noto, è stato papa Francesco a celebrare l’autore di quel «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» (Par XXV, 1-2) con una nuova Lettera Apostolica, la Candor lucis aeternae. Non è la prima volta che il pontefice argentino, ma di origine italiana, esprime la sua ammirazione per colui che aveva confessato la sua fede definendola una «favilla, / che si dilata in fiamma poi vivace, / e come stella in cielo in me scintilla» (Par XXIV, 145-147). E se è lecita una testimonianza personale, ricordo con emozione – nell’aula del Senato di fronte al presidente della Repubblica Sergio Mattarella – la mia lettura del testo di un intenso messaggio di papa Francesco: era il 4 maggio 2015 e si celebravano i 750 anni dalla nascita del Poeta. In quel testo era già racchiusa in nuce la sostanza dell’attuale Lettera. La Commedia era interpretata come «un grande itinerario, anzi come un vero pellegrinaggio, sia personale sia interiore, sia comunitario, ecclesiale, sociale e storico, paradigma di ogni autentico viaggio» dell’umanità dalla tenebra infernale della storia, costellata di tragedie e di male, fino alla vetta luminosa paradisiaca della salvezza, ottenuta attraverso la catarsi liberatoria purgatoriale.
A quel punto papa Francesco coniava la definizione di Dante come «profeta di speranza». Era, così, pronta la stessa struttura ideale della Lettera Apostolica aperta da quel glorioso incipit biblico (Sapienza 7,26), che lo stesso Poeta traduceva nella sua opera teorica più alta, il Convivio, ricalcando la Vulgata: «candore de l’etterna luce». Il pontefice ora ribadisce che Dante è «profeta di speranza e testimone del desiderio di infinito insito nel cuore dell’uomo». Egli è, allora, il «cantore del desiderio umano», proprio nel senso etimologico del termine che rimanda ai sidera, alle stelle, senza cedere alla tentazione della stanchezza e dello scoraggiamento, come lo ammonisce la sua guida Virgilio: «Ma tu perché ritorni a tanta noia / perché non sali il dilettoso monte / ch’è principio e cagion di tutta gioia?» (Inf I, 76-78).
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