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C’è un poeta tra il bue e l’asinello

Quante poesie e filastrocche dedicate al Natale! Da Rodari a Turoldo, da Ungaretti a Erba: un’autobiografia poetica davanti al presepe

​Roberto Cicala
«S’io fossi il mago di Natale / farei spuntare un albero di Natale / in ogni casa, in ogni appartamento / dalle piastrelle del pavimento»: fu una delle piccole magie che colpirono la fantasia di bambino quando scoprii questi versi di Gianni Rodari in un grande libro bianco tra i regali scartati quel Natale d’infanzia negli anni Sessanta.
I disegni colorati e apparentemente facili di Bruno Munari, sulla copertina cartonata dei “Libri per ragazzi” Einaudi, esortavano davvero a immaginare incantesimi domestici «e sui rami i magici frutti: regali per tutti». Quel 25 dicembre nevicò e l’invito delle Filastrocche in cielo e in terra diventò un sogno da voler realizzare a tutti i costi: «con la mia bacchetta me ne andrei / a fare magie / per tutte le vie». E non fu difficile convincere i familiari a fare giochi di parole camminando sotto la neve e trovando rime per i nomi delle vie imbiancate, sulle orme rodariane: «per i grandi ci sarà / magari in via Condotti / l’albero delle scarpe e dei cappotti».
La sera, dopo spagnolette, mandarini e torroncini siciliani e dopo aver giocato in una sala attraversata da fili del modellino di funivia rossa tanto attesa, il nuovo libro fu una bella compagnia con la scoperta, tra le pagine, di un pellerossa: «con le piume in testa / e con l’ascia di guerra in pugno stretta, / come è finito tra le statuine / del presepe, pastori e pecorine […] / e la vecchina delle caldarroste?» La filastrocca mi colpì e ricordo che cercai un indiano tra i soldatini di plastica con cui giocavo in cameretta con mio fratello (si doveva abbattere lo schieramento avversario con un pallina da calciobalilla lanciata tra i due letti). E decisi, senza dire niente, di mettere l’indiano vicino a un pastore del presepe.
Il clima natalizio rese forse più affascinanti e certo più divertenti i versi di Rodari rispetto a quelli imparati a memoria per compito a scuola, anche se parlavano sempre di presepe: «la pecorina di gesso, / sulla collina in cartone, chiede umilmente permesso / ai Magi in adorazione». In verità tra il «bue giallo» e il «ciuco nero» rievocati da Guido Gozzano ritrovavo ogni anno le forme delle mie statuine di cui andavo tanto orgoglioso, alcune proprio di gesso, che cadevano frequentemente perché il muschio era soffice e spesso. Infatti era sempre fresco: lo raccoglievamo sulla salita del Sacro Monte di Varallo, nei pomeriggi domenicali dai nonni, dopo il risotto coi tartufi e l’odore forte del piombo nella tipografia sotto casa delle edizioni Zanfa, con i grossi caratteri di legno per i titoli che sembravano grandi pedine del domino.
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