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Cupola, il cielo sopra una stanza

È la struttura architettonica a più alta densità simbolica, tra dimensione spirituale e temporale. Dal Pantheon alla contemporaneità

di ​Maria Antonietta Crippa
Del proprio corpo ognuno avverte sensibilmente la viva realtà, nella doppia evidenza materiale e immateriale. Lo percepisce misteriosamente abitato da un io dalle infinite risonanze sensibili e razionali. Lo coglie in una relazione, non meno misteriosa, con quello degli altri e con la densità, anch’essa materiale e immateriale, del mondo circostante e dell’universo intero.
Il corpo però non è un vestito sovrapposto all’io; quest’ultimo, a sua volta, non è il protagonista di un dominio incondizionato su di esso: perché l’uomo è creatura, dono di vita che si tramette tra le generazioni. E la vita, in tutte le forme sensibilmente a noi accessibili, è sempre, si dice con un termine molto significativo, incarnata.
Per queste ragioni, in tutte le culture si sono individuate analogie del corpo umano con l’organica unità del pianeta Terra, insieme a tutto ciò che lo abita, con l’universo e tutti i corpi celesti che lo popolano. Si arrivò persino, nel Medioevo, a delineare esplicite corrispondenze tra il microcosmo del corpo umano e il macrocosmo, inconoscibile nella sua totalità ma unitario, dell’universo.
Nel vortice di questa multiforme unità di relazioni, l’uomo ha inscritto, nella nostra e in altre culture, anche l’architettura. Edifici e paesaggi presentano infatti evidenti analogie corporee, nella maggior parte dei casi non in figure direttamente imitative, bensì tramite misure, proporzioni, corrispondenze e articolazioni, perché la creatività umana tende a penetrare nell’intimità del mondo nel quale si trova a vivere, tende cioè ad avvicinarsi alla creatività divina.
Nella meravigliosa storia, che narra quest’avventura di conoscenze e di vita cristallizzata in luoghi abitati, si scopre che i popoli hanno proceduto per tentativi, si sono scambiati le conquiste per migliorare rapidamente le proprie condizioni di vita, hanno esteso gradualmente le proprie capacità di controllo dei fenomeni naturali, hanno di continuo eretto santuari a Dio. A causa della fragilità della loro condizione – per i cristiani segnata dal peccato originale – i loro tentativi sono stati caratterizzati da interne debolezze, precarietà, conflitti e difficoltà anche con il mondo naturale spesso inospitale. Non sono però mancati esiti di straordinaria creatività, di grandezza umana espressa in bellezza.
Per tutte queste ragioni, non si finirà mai di esplorare le ragioni tecniche, simboliche e sociali dei capolavori d’architettura realizzati nel passato e, nello stesso tempo, di cercare di mettere a punto quelle più confacenti agli uomini del proprio tempo, sapendo che occorre molto lavoro per raggiungere alte mete. L’architettura infatti presenta innovazioni lente e graduali, in ragione delle sue logiche funzionali e delle sue tecniche costruttive; la materialità del suo corpo è inoltre pesante, stabile, durevole. Chi la abita deve potersi abituare al suo ordine per sentirsi protetto e a proprio agio, per svolgere le attività necessarie per la vita collettiva e personale; deve avvertire che lo spazio in cui sta è qualcosa come un corpo dilatato, che stringe in solidarietà comunità e popoli.

 

Il mondo sotto la pelle

di Elena Pontiggia
Tra le più antiche rappresentazioni del corpo ci sono gli idoli cicladici, espressione della civiltà che si sviluppa alla fine del III millennio a.C. nelle omonime isole sul mar Egeo. Sono figure schematiche, abbreviate, che non a caso piacevano alle avanguardie del Novecento: figure di dee-madri con le braccia strette sul ventre come un nastro, oppure sagome misteriose come Il suonatore di lira, che misura poco più di venti centimetri. È un musicista che suona senza guardare lo strumento, ma alzando il volto (se si può chiamare volto quella sagoma liscia da cui emerge solo il naso) verso l’alto, come sentendo la spiritualità dei suoni.
Il tema del corpo diventa però centrale, come è noto, nella scultura greca. Secondo l’arte classica, anzi, il corpo è un microcosmo: un mondo che ripete in piccolo l’armonia dell’universo. Pensiamo, per citare un solo esempio fra gli infiniti possibili, al Discobolo di Mirone (450 circa a.C.). Qualunque palestrato odierno ha più muscoli di lui. E infatti l’atleta greco non è un esempio di virtuosismo fisico, ma di armonia. La posizione a ruota, circolare come il disco, suggerisce un dinamismo intenso ma controllato e il suo volto, non sfiorato dalla fatica, è un esempio non di forza ma di concentrazione. Cioè, come spiega l’etimologia, della capacità di “trovare il proprio centro”.
Qualcuno ha ipotizzato che siano opera di Mirone anche i Bronzi di Riace, le sculture ritrovate quasi mezzo secolo fa, nel 1972, per cui sono stati avanzati anche i nomi di Fidia, Policleto, Alcamene e altri maestri. Ugualmente discusso è il loro soggetto, per cui si è pensato ad atleti e dèi. Secondo alcuni studi recenti rappresenterebbero invece due guerrieri: Tideo, figlio del dio della guerra Ares, e Anfiarao, entrambi protagonisti della spedizione contro Tebe. In ogni caso, con la loro nobiltà di forme sembrano fatti per confermare quello che ha scritto Kenneth Clark: «Il nudo fu perfezionato dai Greci perché l’uomo si sentisse simile a un dio». Nella tradizione antica il nudo racchiudeva infatti una dimensione di sacralità, pur conservando la sua seduzione fisica e sensuale. E anche dove, come nell’iconografia delle Baccanti, esaltava soprattutto l’energia dionisiaca e orgiastica, manteneva sempre i suoi titoli di nobiltà spirituale.