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Così l'arte salì il Calvario

La lenta e difficile comparsa della croce e della Passione nella pittura occidentale: sedici secoli di capolavori

​Ci sono voluti quattro interi secoli, prima che gli artisti riuscissero a dipingere Cristo inchiodato sulla croce. Una delle prove che l’Incarnazione non è un’invenzione degli uomini può essere anche questa: se l’avessero inventata, l’avrebbero inventata diversamente. Lo scandalo della croce è tanto poco una trovata umana che gli uomini sensibili per eccellenza, gli artisti, nelle catacombe e nelle prime abitazioni cristiane hanno rappresentato Cristo come un agnello, come il Buon Pastore, come il Maestro che insegna ai discepoli, oppure hanno alluso a lui col segno del chrismon, con i simboli dell’ancora, del pesce, del delfino. Mai con la croce. Del resto quel supplizio da schiavi attirava lo scherno dei sapienti, come dimostra un graffito del III secolo, scoperto alla metà dell’Ottocento nel pedagogium della Domus Augustana, sul Palatino. In quel graffito si vedeva una figura in preghiera davanti a un uomo crocifisso con la testa d’asino e, più sotto, una sarcastica frase in greco: «Alexamenos adora il suo Dio». Niente di strano, intendiamoci. Già l’apostolo Paolo aveva chiarito nella prima Lettera ai Corinzi: «Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani».
Solo verso la metà del IV secolo compaiono le prime croci, ma sono tempestate di gemme come un gioiello e senza la figura del Redentore. Nella chiesa di Santa Pudenziana a Roma, per esempio, nel mosaico dell’abside compare una monumentale croce ornata di pietre preziose. Cristo, più in basso, è in trono fra gli apostoli e quel segno gemmato quasi non lo riguarda, come se fosse una costellazione del firmamento.
La prima Crocifissione vera e propria è agli inizi del V secolo, sulla porta della basilica di Santa Sabina a Roma. Anche qui la croce non si vede e Cristo ha solo le mani inchiodate, perché i piedi sono appoggiati a terra: sembra un orante, non un torturato. Insomma: croce sì, ma mimetizzata e priva di sofferenze, non certo un supplizio.
Anche nella seconda metà del millennio le croci rappresentano un Salvatore non morente, ma trionfatore della morte. Christus triumphans viene appunto chiamata quell’iconografia, dove l’atrocità della Passione è come dimenticata. Il Crocifisso di San Damiano, quello che parlò a san Francesco, è appunto di questo genere. Datato intorno al 1100, rappresenta un Cristo tranquillamente vivo e, per non farci confondere, l’ignoto pittore lo rappresenta due volte: non solo in croce, ma anche mentre ascende al cielo, accolto da uno stuolo di angeli. Intorno al Crocifisso, poi, oltre a Maria, Giovanni, la Maddalena, dipinge un’altra Maria, i soldati e probabilmente se stesso. Quella testina microscopica che sbuca dietro il centurione deve essere la sua: una presenza, comunque, che dissimula ulteriormente la drammaticità della scena.

di Elena Pontiggia