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Cosmogonie, trama di analogie

Ogni cultura ha prodotto miti sulla Creazione. Ma i punti di contatto sono più grandi delle differenze

Secondo Aristotele, il cosmo è eterno. Nulla ha un principio, nulla una fine. La ragione naturale umana non può indagare queste realtà: e comunque la filosofia – la scienza di chi ama il sapere – per sua natura se ne disinteressa.
Dopo la rivoluzione di Socrate, e del resto già con la filosofia dei sofisti, il cosmo e la natura hanno cessato di apparire al sapiente come oggetto d’interesse. Sono i “presocratici” che si occupano del mondo che li circonda. Socrate, e Platone con lui, e Aristotele dietro di lui, s’interessano dell’uomo: e la natura, quel che lo circonda, ridiventa interessante solo come Iperuranio abitato dagli dèi ma inattingibile, o come materia di cui l’essere umano, come ogni altro essere, è costituito. La strada per il recupero della meditazione sulla natura, per la ricostituzione del nesso tra scienza e filosofia, sarà lunga e segnata da fasi di ristagno e da ridefinizioni.
Eppure i Greci, e i Romani con loro e dietro di loro, non hanno mai dimenticato Esiodo. Se la filosofia si disinteressa al cosmo e alla terra, lo stesso non si può dire della mitologia. Greci e Romani continuano ad adorare Urano, il Cielo, e Crono, il Tempo eviratore del padre e a sua volta padre degli dèi e loro sterminatore in quanto tecnofago (vale a dire divoratore dei téchnoi, i suoi stessi figli). Questo rapporto tra Cielo e Tempo, quindi tra Spazio e Tempo, non ha mai abbandonato l’umanità col suo fascino profondo. Senza Esiodo, sarebbe stato possibile un Albert Einstein?
Se la filosofia, “l’amicizia della sapienza”, è frutto del pensiero greco e quindi primo seme di quella che poi si è convenuto di definire “cultura occidentale”, la teologia (la “scienza degli dèi”), la mitologia (lo studio dei racconti relativi al divino) e la cosmogonia (il racconto della genesi del cosmo e della terra) sono scienze ben più antiche: le quali di per sé non hanno avuto rapporto alcuno con la filosofia finché ebrei e cristiani, figli della cultura ellenistica che ha avvicinato Ellade e Oriente fino a obbligarli a confrontarsi, non hanno confrontato i loro mythoi con l’eredità di Socrate. Ma i loro mythoi, i loro racconti, non erano nulla senza un kérygma, un significato: e, nel messaggio abramitico che attraverso ebraismo e cristianesimo entrò in rapporto con il mondo ellenistico-romano, quel kérygma era connesso con la Rivelazione divina, la sostanza della quale non era “mitologia”, non era scienza del racconto tradizionalmente tramandato, bensì Verità.
di Franco Cardini