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Chiese a cielo aperto

Lo sguardo del poeta a un anno dal sisma che ha devastato il cuore dell’Italia. Una “Via Crucis lapidaria” dove il dolore sia fertile terreno per la rinascita

​Giovanni il Battista battezzava stando coi piedi nel Giordano, dove, via via, immergeva i battezzandi. Un fonte battesimale all’aperto, che si poteva spostare secondo i passi del precursore, nell’acqua che sgattaiolava come pesci fra i suoi piedi. Mi ero fatto, dall’infanzia, l’idea che la Terra intera fosse una chiesa, e il cielo che l’avvolge la sua volta. Se no il Padreterno se la sarebbe fatta a suo piacimento e senza troppi libretti delle istruzioni. Gli anni convalidarono in me questa impressione. Ad esempio, da boy scout sapevo costruire, con quattro pali e poche spanne di corda, un tavolaccio gentile su cui veniva celebrata la Messa nel bosco.
Ho in mente quando nel mio quartiere venne costruita una baracca di legno, come quelle dei muratori, ma più lustra, e per anni funzionò come chiesa. Ancora ho ben presente nella mia memoria olfattiva il profumo di quel legno. Starci era come attraversare un bosco arido, essere in una segheria del grande nord, percepire quasi i passi di san Giuseppe falegname, che non poteva non essere lì, con il suo allievo e figliolo a fare bottega. Quella baracca venne abbandonata per costruire una chiesa in muratura ma io la spiritualità operaia e cantieristica che respirai lì, non la trovai più.
Quella volta che stavo in fondo alla stiva di un peschereccio nel Mar Baltico, il boccaporto era aperto verticalmente sopra di me. Le costellazioni che tratteggiavano la volta di quel tempio, mi lasciavano sbigottito nel mio eremo, il cui pavimento era l’irrequietudine del mare. Analoga chiesa del Padreterno, fu in altra notte fra le dune disordinate del deserto. Esse erano le cappelle di quel duomo infinito, e i grappoli di stelle le luminarie lassù. Giovanni Paolo II, sotto il trapano del sole sul Giordano, era ormai curvo come l’impugnatura di un bastone. In quella chiesa senza muri c’era la celebrazione del Venerdì santo. Come non avere in mente, del resto, l’affratellante titolo di Teilhard de Chardin La messe sur le monde, o il Cesare Angelini che individuava l’altare del mondo in un sobbalzo collinare dell’Oltrepò pavese? E quando parto dalla Stazione centrale di Milano, subito fuori, le navate di questa cattedrale ferroviaria aprono l’animo al mondo. Ci sono, fra i ghiacciai, taluni che paiono cattedrali gotiche a cielo dischiuso; nei boschi, pianori circondati da colonne arboree, che sanno essere delle chiese improvvise e dall’origine dei tempi. Certo, ho visto anche chiese che assomigliano a teatri, a bomboniere, a saloni di un’expo, ma non c’è molto bisogno di loro, perché è il soffio dello Spirito che muove dove vuole.

di Guido Oldani