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Certosini, il deserto nei boschi

La storia, la spiritualità e l’eredità di san Bruno, tra Francia e Calabria

​Tonino Ceravolo


I l 6 ottobre 1101, oltre nove secoli or sono, moriva in Calabria, nell’eremo di Santa Maria della Torre, Bruno di Colonia, già maestro e rettore della scuola della cattedrale di Reims e, a cominciare dal 1084, sulle Alpi francesi del Delfinato, iniziatore di una nuova forma di vita monastica, che avrebbe preso il nome di ordine certosino.
L’itinerario esistenziale e umano di Bruno è ben descritto in una cronaca medievale – la cosiddetta Magister – che ne traccia un profilo denso e incisivo: «Maestro Bruno, di nazione tedesca, originario dell’illustre città di Colonia, nato da genitori di non bassa condizione, saldamente munito di studi sia profani sia sacri, canonico e scolarca della chiesa di Reims, a nessun’altra seconda tra le chiese francesi, abbandonato il secolo, fondò e resse per sei anni l’eremo di Certosa. Per ordine di papa Urbano, di cui era stato maestro, si recò nella Curia romana per aiutarlo, con il suo sostegno e consiglio, negli affari ecclesiastici. Ma non potendo sopportare il tumulto e il modo di vivere della Curia, ardendo d’amore per la quiete e la solitudine perdute, lasciata la Curia e anche l’Arcivescovado della Chiesa di Reggio, al quale era stato eletto per volontà del papa, si ritirò in un eremo della Calabria chiamato La Torre, e lì, riuniti in gran numero chierici e laici, realizzò il suo progetto di vita solitaria per il resto dei suoi giorni; lì morì e fu sepolto, all’incirca undici anni dopo della sua partenza da Certosa».
Rispetto ad altre esperienze monastiche coeve, la spiritualità di san Bruno si era orientata, sin dagli esordi in Francia della Chartreuse, in maniera ancor più vigorosa verso la scelta eremitica, temperando tuttavia l’austerità dell’eremitismo con l’introduzione di momenti di vita in comune con il compito, al tempo stesso, di rendere meno “severa” la solitudine e di consentire ai monaci quello scambio fraterno senza il quale sarebbero rimasti sconosciuti l’un l’altro. Bruno riepilogherà alcuni tratti essenziali della sua spiritualità in una lettera – uno dei rari testi certamente da attribuire a lui – indirizzata dalla Calabria al suo amico prevosto Rodolfo il Verde con l’intenzione di esortarlo a intraprendere la vita contemplativa: «Quanta utilità e gioia divina rechi la solitudine e il silenzio dell’eremo a coloro che li amano lo sanno solamente quelli che ne hanno fatto esperienza. Qui, infatti, agli uomini forti è consentito raccogliersi quanto desiderano e restare con se stessi, coltivare assiduamente i germogli delle virtù e nutrirsi felicemente dei frutti del Paradiso. Qui si conquista quell’occhio il cui sereno sguardo ferisce d’amore lo Sposo, e per mezzo della cui trasparenza e purezza si vede Dio. […] Qui, per la fatica del combattimento, Dio dona ai suoi atleti la ricompensa desiderata, cioè la pace che il mondo ignora, e la gioia nello Spirito Santo».
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