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Bramante

L’artista umbro definì i parametri di un linguaggio architettonico monumentale su scala europea. La sua modernità a cinquecento anni dalla morte

​«Di grandissimo giovamento all’architettura fu veramente il moderno operare di Filippo Brunelleschi […]. Ma non fu manco utile al secolo nostro Bramante, acciò, seguitando le vestigie di Filippo, facesse agli altri dopo di lui strada sicura nella professione dell’architettura, essendo egli di animo, valore, ingegno e scienza in quell’arte non solamente teorico, ma pratico ed esercitato sommamente». Così Giorgio Vasari, nel suo celebre testo Vite de’ più eccellenti architetti pittori et scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri (1550), legò attorno al nodo del «moderno operare» i due grandissimi architetti.

Cinque e più secoli di storia ci hanno resi consapevoli che la costruzione e il consolidamento di tale modernità furono ben più che il passaggio di testimone tra due vite collegate anche in perfetta successione cronologica: Brunelleschi – «Donato dal cielo per dar nuova forma all’architettura, già per centinaia d’anni smarrita», scrisse lo stesso Vasari – nacque nel 1377 e morì nel 1446; due anni prima, nel 1444, aveva visto la luce Donato Bramante, che morì nel 1514. L’uno fiorentino, l’altro umbro, collocati su due diversi versanti, quello dell’inizio e quello della maturità, di una rinascenza delle arti che avrebbe presto raggiunto il proprio vertice, nella lettura vasariana, in Michelangelo Buonarroti (1475-1564)......

di Maria Antonietta Crippa