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E il ‘500 fece gli italiani

Il papato mediceo di Leone X e l’opera del cardinal Bembo unificarono la cultura del Paese

Raffaello, Doppio ritratto di Navagero e Beazzano (1516), 
olio su tela. Roma, Galleria Doria Pamphilj.

Raffaello, Doppio ritratto di Navagero e Beazzano (1516), olio su tela. Roma, Galleria Doria Pamphilj.

Fine Quattrocento, l’Italia è un Paese in profonda crisi, morale, spirituale, politica, militare. È indubbio che tale crisi si manifestava anzitutto agli animi degli intellettuali italiani dell’epoca. La scomparsa di Pico e Poliziano nel 1494, a due soli anni dalla morte di Lorenzo il Magnifico, e la calata dell’esercito francese in Italia parvero segnare la fine di un mondo. La stessa frammentazione linguistica si faceva leggibile come metafora di profonda disarmonia, di angustia di vedute, di animi impotenti e velleitari, di logiche meschine. In tanta prostrazione un giovane veneziano intuisce – e su questa intuizione scommetterà l’intera sua vita – che il riscatto dalla crisi abbia a essere anzitutto un fatto culturale. Egli giunge a pensare che il ceto intellettuale italiano vada riunificato dotandolo di un’unica lingua per la scrittura. Perché questa possa prevalere venendo da tutti accettata, dovrà godere di un prestigio indiscusso ed è la ragione per la quale egli la saggerà nei massimi esemplari dell’aureo Trecento. Non è una scelta conservatrice: è una scelta politica – se diamo alla parola il suo nobile senso. Bembo è un ciceroniano – cioè un fautore dell’ottimo modello da imitare – nel campo del latino per poterlo essere in quello del volgare; e lo è nel campo del volgare, con riferimento agli autori trecenteschi, per consegnare agli intellettuali del Paese una lingua unica. Egli gioca questa mossa nella Roma di Leone X. Il figlio di Lorenzo il Magnifico, divenuto papa nel 1513, non chiede di meglio e, appena eletto, impegna Bembo come proprio segretario ai brevi, insieme a Jacopo Sadoleto. Si apre una stagione di rinnovate esaltazioni umanistiche, di fiducia nel papato mediceo e nell’Italia, ed è una stagione di altissima creatività artistica. Anche questo mondo conoscerà la propria fine, annunciata dalla morte di Raffaello e sopraggiunta nel terribile Sacco di Roma del 1527; ma essa non eclisserà l’iniziativa culturale bembiana.
 
testo di Guido Beltramini, Davide Gasparotto e Adolfo Tura