Luoghi dell' Infinito > Ai confini della natura

Ai confini della natura

I luoghi estremi non sono i luoghi dell’abitare, ma invitano l’uomo alla contemplazione dello spettacolo del creato

​Poco prima di mettermi a scrivere queste righe, ho avuto la fortuna di ascoltare alcuni amici poeti leggere un testo in prosa di Camillo Sbarbaro. Questo poeta ligure di versi asciutti e dolenti, maestro a Montale e a tanti altri, era un autorevole studioso classificatore di licheni. A molti esemplari di questi elementi minimi della natura ha dato anche il nome. E in quel testo, intitolato appunto Licheni, dice che dando il nome a quelle cose minuscole – che vivono ovunque resistendo a ghiacci e difficoltà di ogni genere – gli sembrava quasi di aiutarli a esistere. Come se appunto la discrezione assoluta della loro presenza nel mondo aspettasse lo sguardo e il pronunciare di un uomo per poter accedere pienamente all’esistenza.
Sembra invece accadere il contrario di fronte a spettacoli naturali imponenti, estremi, come quelli che trovate nelle foto in queste pagine: una selezione dalle cento straordinarie immagini di “Geomorfo. I mille volti di Gaia” in mostra al museo Minguzzi di Milano.
 
Qui la natura e il suo spettacolo si presentano con una forza irrefutabile, con una evidenza che sembra quasi rendere superfluo e, di più, impossibile non solo il nominarli da parte di un uomo, ma quasi la sua, la nostra stessa presenza. Precipizi e vastità, linee impensabili di golfi e crinali, creazioni della pietra, ventagli di boschi, e colori senza nome diramanti in altri ignoti colori. Di fronte a tali spettacoli – tremendi e fantastici – la nostra speciale capacità di trovar parole sembra smarrirsi. E si tace, come dinanzi al presentarsi di qualcosa di maestoso, di potente. Eppure questo stesso povero, quasi sbandato tacere è un atto esso stesso di nominazione, di accoglienza silenziosa e di abbraccio spalancato, divelto. Sì, sappiamo stare di fronte anche a tale dismisura, a tale ospite immenso con la parola che diviene silenzio. Come se in questa non-parola potesse risonare la infinità o meglio il segno di infinità che tale spettacolo invita a considerare. La si chiama spesso Natura, indicando nella maiuscola la sua esuberanza, la sua smisurata presenza a confronto del minuscolo essere che la ammira e ne è sopraffatto.
 
È la maiuscola che gli antichi davano agli dèi, i quali poi per i cosiddetti moderni se ne sono rientrati e confusi in lei, dopo che ne erano usciti per le immaginose narrazioni antiche. Ma al suo maiuscolo, indifferente porsi nello spazio e nel tempo, il minimo, poverissimo e debole corpo dell’uomo offre l’unico sguardo di vero spettatore, rendendo per così dire non vano il medesimo dispiegarsi di tale bellezza.
 
di Davide Rondoni