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Trame di bellezza, storie di mosaici

​L'arte non può essere qualunque cosa, ma può essere ovunque. Anche sotto i nostri piedi. La storia del mosaico si intreccia con questa intuizione. La bellezza si contempla non solo alzando lo sguardo, ma anche abbassandolo sulla terra che calpestiamo. Così può diventare stella cometa per i nostri passi e fare del pavimento un giardino di pietra del nostro abitare. È questa una bellezza umile e meravigliosa, che si offre nelle case e nel Tempio, compagna del nostro quotidiano e della festa, del lavoro e della liturgia. Una bellezza solida, che viene in soccorso all’antico bisogno di elevarci dalla nuda terra, una sorta di fondamento a sostegno del nostro abitare.
La risposta alle umane necessità – attraverso la trasformazione degli elementi naturali con la realizzazione di strumenti, oggetti, spazi – si accompagna fin dall’origine alla domanda di senso sul nostro stare al mondo. L’utile non è mai semplice soddisfazione di un bisogno. Un Oltre ci interroga per il solo fatto che noi esistiamo e abitiamo il mondo, a partire dal riconoscimento che tutto è dono e che la conoscenza nasce dalla meraviglia.

È indissolubile il connubio tra tecniche e culture. Così è per l’argilla, elemento base dell’abitare dell’uomo. Una materia umile, eppure vitale, frutto di processi di trasformazione che vedono nell’acqua, nel ghiaccio e nel vento i protagonisti. Una materia che ha accompagnato l’umanità nel corso di tutta la sua storia. I sumeri ne hanno fatto la loro casa e i loro templi grazie a piccoli parallelepipedi, i mattoni. E su tavolette d’argilla, nel quarto millennio prima di Cristo, hanno impresso dei segni e inventato la scrittura. Così l’argilla è diventata parola. E si è anche fatta compagna della nostra quotidianità, quella antica e quella più recente: pavimenti, mura, ciotole, giare, boccali, urne funerarie… E straordinarie opere d’arte: dall’Apollo di Veio alle Madonne di Donatello alle splendide creazioni invetriate di Luca e Andrea della Robbia. Con l’argilla sono stati realizzati i primi antenati del mosaico, le decorazioni parietali di Ur, Uruk e Tello tra la fine del IV millennio e gli inizi del III: coni di terracotta le cui punte venivano infisse nelle pareti, lasciando sporgere solo le basi colorate, disposte in modo da realizzare motivi geometrici.

Successivamente il mosaico utilizza altri materiali. Troviamo nel palazzo reale di Gordion, capitale della Frigia, uno dei primi rilevanti esempi di mosaico pavimentale in ciottoli (VIII secolo a.C.). Le tessere in pietra, a cui si aggiungeranno quelle in pasta vitrea e smalto, compaiono a partire dal IV secolo a.C.
Antica la tecnica e la parola che la esprime: mosaico non ha un’etimologia chiara. Per alcuni deriva dal greco mouseion, Tempio delle Muse (divinità preposte alle arti). Anche per i latini il mosaico è “opera delle Muse” (opus musivum). Per altri risale alla parola araba muzauwaq, decoro.
Dall’Oriente all’Occidente artigiani e artisti di ogni epoca hanno voluto decorare pareti e pavimenti con un popolo infinito di tessere e comporre una miriade di frammenti per offrirci un universo di segni e di colori, di simboli e di storie. E se i mosaici parietali un tempo raffiguravano i fantastici dei dell’Olimpo, a partire dal IV secolo quelle tessere disegnano i volti e le figure di Cristo, della Vergine e dei santi.

Nel pavimento musivo trova rappresentazione il giardino dell’Eden, un paradiso da abitare che greci e romani declinavano sia nel segno della realtà che in quello del simbolo: dai fiumi ai boschi, alla teoria degli animali da cacciare e dominare. Il mondo cristiano ci offre “una geografia di senso”: lo spazio accoglie il tempo orientandolo alla luce della Provvidenza. Il monaco Pantaleone a Otranto ne ha fatto la più straordinaria raffigurazione dell’albero della vita: il pavimento del Duomo (1163-1166) ci offre uno spaccato dell’universo medievale, attraverso un intreccio di figure bibliche e personaggi storici e mitici come Alessandro Magno e Artù. Dove l’apparente groviglio, che può rappresentare la storia degli uomini e insieme la vita di ciascuno di noi, si scioglie alla luce di quella salvezza che è dono, attesa e ricerca.
Altra straordinaria sintesi dell’umana avventura sono le cinquantasei tarsie del Duomo di Siena: in cinque secoli, dal Trecento all’Ottocento, il più bel tappeto di marmo racconta una storia che dalla mitologia classica e dai suoi profeti, le Sibille, giunge al cuore della salvezza, il Cristo evocato e mai raffigurato, perché presente nel Mistero dell’altare, trono di Dio e del suo  sacrificio. Un disegno di salvezza che tutto e tutti abbraccia.

Alla base del mosaico c’è la tessera, il frammento, un elemento simbolo della nostra contemporaneità, nella sua incapacità rassegnata di cogliere il tutto. All’opposto l’arte cristiana il tutto vuole offrircelo nel frammento che si compone in un vasto disegno. Mosaici e tarsie marmoree si fanno dunque geografia di una storia che ci prende per mano fino all’incontro con il mistero: un universo di colori e simboli ci richiama al senso ultimo nostro e delle cose. Sì, l’arte si lascia calpestare per accogliere tutto l’uomo, anche i suoi passi appesantiti dalla fatica, perché possano diventare lievi come quelli di una danza. Questa bellezza, che ci offre stabilità e si lascia contemplare a patto di abbassare gli occhi, vale la pena di essere raccontata e soprattutto vissuta.

di Giovanni Gazzaneo