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Settanta volte sette la Bibbia calcola la qualità

​È stato scritto tanto su quello straordinario caleidoscopio che sono i numeri: a livello scientifico, ma anche secondo una dimensione che potremmo definire “metafisica” e persino teologica. Anche chi non ha una grande assuefazione coi testi sacri sa che sono costellati di numeri che spesso non devono essere computati quantitativamente, ma valutati qualitativamente, cioè come simboli. Così, che la creazione dell’universo sia dalla Genesi distribuita nei sette giorni della settimana, con l’apice nel sabato liturgico, è legato al fatto che il 7 è un segno di pienezza e perfezione, naturalmente coi suoi multipli. In questa luce si comprende perché si scelgano nell’Apocalisse sette Chiese, perché Gesù ci ammonisca di perdonare non solo sette volte, ma settanta volte sette, perché l’oro puro sia «raffinato sette volte», come si dice nel Salmo 12,7, perché settanta siano gli anziani del “senato” costituito da Mosè, settanta i discepoli inviati in missione da Gesù, settanta siano gli anni dell’esilio babilonese e settanta settimane d’anni scandiscano l’avvento finale del regno messianico, secondo il libro di Daniele (9,24).Ugualmente al 3 viene assegnato un valore di pienezza, come appare in modo supremo nella Trinità cristiana, ma come si aveva già in tante distinzioni ternarie bibliche: tre erano le parti dell’universo (cielo, terra, inferi), tre le feste principali di Israele (Pasqua, Settimane, Capanne), tre preghiere marcavano la giornata, tre giorni Gesù rimane nella tomba (anche se questo computo è in realtà solo su frazioni giornaliere). Il 4, evocando i punti cardinali, propone una totalità: ecco perché quattro sono gli esseri viventi misteriosi che stanno accanto a Dio Onnipotente secondo l’Apocalisse, così come i quattro fiumi che scorrono dall’Eden rappresentano tutto il sistema idrografico della terra, mentre Qohelet-Ecclesiaste nel terzo capitolo del suo libro tratteggia l’intera storia in ventotto (7x4) «tempi e momenti».
È dal 4 che fluisce il multiplo 40, intrecciato con un altro numero che indica pienezza, il 10 (si pensi al Decalogo): quaranta sono i giorni e le notti del diluvio, gli anni dell’esodo di Israele nel deserto, i giorni delle tentazioni di Gesù. Altrettanto significativo è il 12 che ritroviamo nelle tribù di Israele, nel parallelo degli apostoli e nel multiplo 144.000 (12x12x1.000) degli eletti dell’Apocalisse. Altre volte i giochi simbolici si fanno più complessi, come accade nella formula x/x+1: «Tre cose sono troppo ardue per me, anzi quattro, che non comprendo affatto: la via dell’aquila nel cielo, la via del serpente sulla roccia, la via della nave in alto mare, la via dell’uomo verso una giovane donna» (Prov 30,18-19).
Le cose si complicano ulteriormente nel giudaismo successivo, quando appare una particolare numerologia chiamata ghematrià, deformazione della parola “geometria”. Essa cercava di intuire il significato segreto delle parole basandosi sulla corrispondenza numerica delle lettere. Questo esercizio trionferà nella cosiddetta Qabbalah (letteralmente “realtà trasmessa”, “tradizione”), una teoria mistica giudaica fiorita a partire dal XII secolo e che ha lasciato una traccia in vari movimenti esoterici moderni e in forme popolari, anche contemporanee, di taglio spesso cialtronesco e illusorio. Un esempio celebre di “gematria” cristiana è il 666, il «numero della Bestia», proposto dall’Apocalisse (13,18), forse il libro biblico più ricco di simbolismi numerici (tra cardinali, ordinali e frazionali in quelle pagine si contano ben 283 cifre!).
Si tratta di un multiplo di 6, il numero imperfetto per eccellenza dato che rappresenta il 7 privato di un’unità e il 12 dimezzato. Siamo, dunque, in presenza di un concentrato di limite e imperfezione il cui valore “gematrico” è stato variamente interpretato. La più comune decifrazione vi vede la somma dei valori numerici del nome “Nerone Cesare”, trascritto in ebraico come NRWN QSR (N 50 + R 200 + W 6 + N 50 + Q 100 + S 60 + R 200 = 666), il grande persecutore. Alla base di tutta la numerologia biblica rimane, comunque, la convinzione che il Signore – come si legge nel libro della Sapienza che forse evoca una frase di Platone – «ha disposto ogni cosa con misura, calcolo e peso» (11,20).
 
di Gianfranco Ravasi