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Parlare è creare mondi

​Silvano Petrosino


Si racconta che Dio quando pensò e poi costruì l’universo fece riferimento alla matematica; osservando l’ordine dei pianeti e l’intrecciarsi delle loro infinite orbite, non si può fare a meno di riconoscere come questa ipotesi risulti del tutto legittima. Seguendo un tale racconto, si può tuttavia pensare che quando Dio, dopo l’universo, immaginò e infine creò, «a sua immagine e somiglianza», l’uomo, fece riferimento soprattutto alla parola, come se nelle lettere avesse trovato tutto ciò che i numeri non potevano offrirgli; anche in questo caso, osservando la poco nobile tendenza degli uomini alla chiacchiera, così come la più nobile necessità a raccontare che fin dal principio ha accompagnato l’uomo nella sua aggrovigliata evoluzione, non si può fare a meno di riconoscere come anche questa ipotesi risulti del tutto legittima.
All’interno del comune sentire, ma non solo, tale fatto invece di continuare a stupire sollecitando la riflessione ha finito per alimentare quel mare magnum dell’ovvio in cui prolificano facili convinzioni e false certezze. A me sembra che siano essenzialmente due i motivi all’origine di questa involuzione. Innanzitutto si tende a passare con estrema facilità dalla parola astratta alla più concreta – così almeno si suppone – comunicazione, per arrivare poi ad affermare che vi è comunicazione ovunque, che l’uomo continua a comunicare in ogni momento e che quindi la comunicazione è un fenomeno del tutto scontato, naturale, in ultima istanza neutrale, sul quale, proprio perché tale, non conviene perdere tempo in astruse riflessioni. In secondo luogo si è convinti che il comunicare costituisca uno dei desideri più profondi dell’uomo il quale, in quanto essere sociale, non può fare a meno di utilizzare le parole per entrare in rapporto con i suoi simili.
A fondamento di questo modo di pensare vi è un’evidenza innegabile: tutto ciò che vive, proprio per poter vivere, deve continuamente scambiare informazioni con l’ambiente circostante e con gli esseri viventi che lo abitano; da questo punto di vista dire “vita” significa dire “informazione” e soprattutto “trasferimento di informazioni”. Tuttavia bisognerebbe anche riconoscere la differenza essenziale che distingue il soggetto umano dal semplice individuo vivente: l’uomo, infatti, è certamente un vivente ma al tempo stesso esso non si riduce mai a semplice essere vivente. In breve si può dunque affermare che la concezione ingenua della comunicazione – oggi così frequente da costituire la doxa stessa dei giorni nostri – consiste proprio nella riduzione di quest’ultima al semplice trasferimento di informazioni. Non è difficile comprendere come una scienza della comunicazione così intesa tenda inevitabilmente a risolversi in una tecnologia delle informazioni, cioè in una serie di procedure relative all’ordinamento e al trasferimento delle informazioni: risoluzione ed esaurimento della parola nella comunicazione e della comunicazione nell’informatica.
Contro una simile ingenuità è necessario recuperare il tratto drammatico che accompagna ogni uso umano della parola. In effetti, ogni qualvolta un essere umano usa una determinata parola, non solo trasmette una certa informazione ma anche configura una certa immagine di sé, una certa immagine di colui a cui si rivolge e una certa immagine di tutto il mondo circostante. In questo senso ogni parola, mentre trasmette, al tempo stesso anche identifica e definisce. La nostra esperienza lo conferma quotidianamente: lo sappiamo fin troppo bene, non è lo stesso dire o sentirsi dire “ti amo” o “ti voglio bene” o “mi piaci”... Queste diverse parole non solo trasmettono determinati sentimenti ma anche configurano e impongono mondi diversi e modi diversi di abitarli.
Commentando i versetti relativi all’invito di Dio all’uomo a nominare gli esseri viventi (Gn 2,19) Gerhard von Rad osserva: «Questa imposizione del nome è atto di creazione secondaria, atto dell’attività ordinatrice con cui l’uomo s’impadronisce spiritualmente delle creature, obiettivandole davanti a sé».
Parlare è in un certo senso creare: è a questo abisso di responsabilità che il Dio biblico non si stanca di richiamare l’uomo.