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Nelle immagini la bellezza dell'incontro

​Negli ultimi decenni del XIX secolo buona parte dell’immaginario che avvolge la cultura giapponese in Europa viene veicolata dalle stampe e dalle opere grafiche di cui Kitagawa Utamaro, Katsushika Hokusai e Utagawa Hiroshige sono i protagonisti più noti e importanti. Intorno alla metà dell’Ottocento tra Europa e Giappone si attua una sorta di duplice legame: mentre la prima scopre un modo nuovo di raffigurare forme e colori, un approccio alla natura e all’arte diverso da quello della cultura visiva del neoclassicismo o dell’impressionismo, il secondo – dopo oltre due secoli di autoreclusione – si trova invaso dai frutti del progresso tecnologico, politico e militare del mondo euro-americano. Dopo l’apertura dei suoi confini il Giappone si vede costretto a ricostruire l’immagine della propria identità culturale; tale immagine è un prodotto di negoziazione, di una serie di scambi, traduzioni e anche fraintendimenti. Da parte occidentale, il Giappone viene inserito in un ipotetico quanto fittizio “museo dell’Asia”, da coloro che pensano di superare i problemi della modernità tramite la scoperta di una realtà aliena, che in breve diviene appunto esotica. Come spesso accade, il fatto di elevare un soggetto, individuale o culturale, su un piedistallo dorato – in questo caso, quello della raffinata tradizione artistica – è una mossa strategica più o meno conscia per “sistemarlo” e ridurre la carica inquietante della sua alterità. In parte la costruzione estetica del Giappone ottiene anche lo scopo di sgravare l’osservatore europeo o americano dal senso di colpa per aver contribuito alla dissoluzione di un mondo, forzandolo a un processo di modernizzazione e inscrivendolo in politiche imperialistiche.
L’occhio occidentale apprezza dapprima ciò che, nella distanza culturale, risulta più facile riconoscere e maneggiare. Un aspetto di questo incontro è interessante e poco notato: l’arte della stampa e della xilografia, che appassiona pittori come Monet e Van Gogh, risente in parte di precedenti contatti con l’Occidente (i missionari e poi i mercanti olandesi avevano fatto conoscere stili e caratteristiche della cultura pittorica europea): in una famosa Veduta di Edo di Hiroshige, per esempio, è evidente l’impiego della prospettiva centrale tipica della pittura rinascimentale. Lo spettatore occidentale coglie quindi un motivo di interesse là dove vi sono modalità di rappresentazione in parte prossime alla propria esperienza. Bisognerà aspettare il Novecento perché la cultura euro-americana si innamori della pittura a inchiostro e dell’arte calligrafica, spesso associate allo Zen, inaugurando ulteriori forme di fascinazione per l’estetica giapponese. Eurocentrismo da una parte ed esotismo dall’altra sono quindi i due estremi da evitare, per non occultare la relazione viva che accade tra le culture e le trasforma. Discipline quali l’antropologia, la linguistica, la storia dell’arte e della letteratura favoriscono invece una comprensione libera da ipoteche e pregiudizi, o che sappia farli emergere e li renda espliciti.
L’altro non sarà mai del tutto “trasparente” al medesimo; ma questo, lungi dall’essere un limite, è una ricchezza dell’umano.
di Marcello Ghilardi