Luoghi dell' Infinito > Editoriali > La storia siamo noi. Quando la libertà incontra la grazia

La storia siamo noi. Quando la libertà incontra la grazia

​Giovanni Gazzaneo


Il sole illumina, la terra gira, il fiume scorre, ma solo l’uomo rinasce. Tutto risponde a leggi a noi per lo più sconosciute, o che intuiamo e indaghiamo attraverso le scienze. E queste leggi noi abitiamo, a volte rispettandole, a volte dominandole, o anche stravolgendole. In un momento ci immaginiamo padroni del mondo e in un altro eccoci schiacciati da un essere invisibile. Il virus costringe gran parte dei popoli alla clausura e, per la prima volta nella storia, svuota le vie e le piazze delle megalopoli e degli antichi borghi del Nord e del Sud del mondo, in un’eguaglianza segnata dalla paura, dal dolore e dalla morte. Ci siamo riscoperti così per quel che siamo: carne, pensiero, amore. E libertà, anche nel segno della sua privazione non sempre giustificata. Eppure c’è una libertà che nessuno ci può sottrarre: la domanda che gli uomini si sono portati dentro molto prima di Socrate e che poi hanno coltivato nei millenni accogliendo la sfida di non “viver come bruti”, quell’inesauribile interrogarsi sul senso delle cose, dell’inizio e della fine, del bene e del male… La pandemia ha risvegliato le “domande ultime” messe ai margini nei tempi moderni. Il nuovo mondo globalizzato di Amazon, Facebook, Google e compagnia sembrava offrirci la soluzione e ci liberava da ogni angoscia di ricerca delle risposte. Bastava (e basta ancora) un click per essere incanalati (a volte ingabbiati) in una rete all’apparenza aggrovigliata, ma ben dominata, perché resa fluida e liquida e quindi manipolabile in ogni sua dimensione… Questioni complesse, ma una cosa sembra evidente: nel web, per quanta democrazia e bellezza, bontà e comunicazione ci siano, il regno della distrazione e la dittatura del desiderio (e del consumo che mentre appaga tutto divora) dominano incontrastati, e ben si conciliano con i profitti delle multinazionali che nulla hanno a che fare con gli interessi degli Stati sovrani, o pseudo tali, e ancor meno con il bene e la libertà dei popoli e della persona. La libertà, come ci insegna Anselmo d’Aosta, non può ridursi alla mera scelta tra bene e male (altrimenti Dio che è il Sommo Bene non sarebbe libero), ma nel voler fare il bene. Nella libertà che si apre alla grazia di Dio la rinascita accade. Ne sono testimoni uomini che con la loro vita hanno cambiato la storia: Benedetto da Norcia, Francesco d’Assisi, Caterina da Siena, Paolo VI... Ma anche movimenti che in epoche di crisi e sconvolgimenti hanno contribuito alla rinascita attraverso pensiero e impresa, poesia e arte nel segno della bellezza e del vero. Ed è così che abbiamo voluto raccontare la storia del nostro Paese, la cui lingua nasce nel modo più straordinario: con il Cantico della Creature, la poesia e la preghiera di un santo, una lode a Dio e al Creato.
 Una nuova rinascita è possibile, se abbiamo il coraggio di tornare alle radici di una storia che è solo nostra, e ci riappropriamo dei valori e della verità che questa storia porta e che sono il patrimonio del nostro presente e del futuro dei nostri figli: una storia che può generare novità se siamo capaci di non tradirla. «Esiste uno stretto legame tra il significato di patria e di nazione – scrive san Giovanni Paolo II in Memoria e Identità –. In polacco infatti, ma non soltanto in questa lingua, il termine naród (nazione) deriva da ród (generazione); patria (ojczyzna), invece, ha la sua radice nel termine padre (ojciec). Padre è colui che, insieme con la madre, dà la vita a un nuovo essere umano. Con questa generazione dal padre e dalla madre si connette il concetto di patrimonio, che sta sullo sfondo del termine “patria”. Il patrimonio e, in seguito, la patria sono dunque strettamente uniti dal punto di vista concettuale con il generare; ma anche il termine “nazione” ha un suo rapporto dal punto di vista etimologico, con il nascere».
E la rinascita è saper guardare avanti come ci insegna papa Francesco: «Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendosi in noi stessi». E indica «tre nemici del dono sempre accovacciati alla porta del cuore: il narcisismo, il vittimismo e il pessimismo» (Omelia di Pentecoste, 31 maggio 2020). Ma il contrario del pessimismo è l’autentica speranza cristiana, non la falsa retorica dell’ottimismo, dell’«andrà tutto bene», perché quando quel motto ha riempito tv, giornali, balconi, muri, tutto bene non andava, e non va. E poi l’insostenibile pesantezza della retorica di quei proclami di guerra pronunciati da politici e virologi e presunti esperti travestiti da generali… Le armi erano semplici – disinfettanti, mascherine, guanti e respiratori, e poi test… – ma si sono rivelate presto oggetto del desiderio perché introvabili (spesso anche per chi era in “prima linea”, medici, infermieri, personale e volontari del 118 e della Protezione Civile). La retorica, come una droga, può appannare le menti, ma è sempre ridicola e vuota nella sua boria, e non vincerà mai sulla realtà e su quell’unico grido e preghiera che si è levato dai cuori di tanti: “Miserere nobis”. Il grido dei popoli dalla terra al cielo.