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Il volto dell’amato

​Dopo la cacciata di Adamo ed Eva, l’umanità è rimasta con la struggente nostalgia di vedere il volto di Dio. Di questa nostalgia è pervasa tutta la Scrittura: «Il tuo volto, Signore, io cerco… Mostrami il tuo volto!» (Sal 27,8; Es 33,18). Dio si fa percepire presente, ma riserva la visione del suo volto glorioso a chi, riconciliato con Lui e con i fratelli, entra nel Paradiso celeste. Tuttavia l’eterno Padre si è fatto vicino, vicinissimo all’uomo inviando nel mondo il Figlio come sua icona vivente. Gesù stesso all’apostolo Filippo che gli chiedeva di poter vedere il Padre, rispose: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Viene ovviamente da esclamare: beati gli occhi che videro Gesù! Ma, come dicono i Padri, questa beatitudine non ci è preclusa, perché lo sguardo della fede penetra già nelle profondità del Cielo. Tuttavia, Gesù è venuto incontro a questo nostro desiderio in modo davvero sorprendente. Anche se in quel tempo non si conosceva la tecnica della fotografia, Egli ci ha lasciato una riproduzione fedele del suo volto misteriosamente impresso sul lino con cui lo avevano coperto nel sepolcro.

La Sindone è una foto straordinaria, anzi, molto più che una foto, e anche più di un ritratto, perché non è dipinta da mano d’uomo, ma dallo Spirito, a caratteri di sangue (cf. 2Cor 3,3). Essa ci permette di vedere non solo i tratti nobilissimi del volto di Gesù, ma anche i segni della sua Passione, ponendoci quasi davanti al Figlio di Dio glorificato sulla Croce. Di Lui il Salmista aveva profeticamente cantato: «Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia» (Sal 45,3). Ma il volto della Sindone è quello di Gesù schiaffeggiato, coperto di sputi, deriso; è il volto dell’Uomo dei dolori «davanti al quale ci si copre la faccia» (Is 53,3), tanto il suo aspetto è sfigurato. Eppure quale sovrana maestà traspare da quel volto! Più lo si contempla, più se ne è attratti. Sì, perché il volto della Sindone è il volto del Figlio di Dio fatto uomo e morto per amore. È il volto dell’Amore rifiutato ancora oggi da noi. Contemplandolo, sentiamo che Gesù ci chiede compassione. E ce la chiede nei mille e mille volti di nostri fratelli sofferenti, i martiri dei nostri giorni. Sapremo dargliela, come quella bambina che, guardando la Sindone, scoppiò in singhiozzi come se avesse avuto realmente davanti Gesù morto? Noi forse preferiremmo vedere solo il bel volto del Risorto, ma la luce della resurrezione ha la sua sorgente nella Croce. È là che bisogna guardare, per scorgere la multiforme bellezza di Gesù che è sempre bello: «Bello nei miracoli, bello nella flagellazione, bello sulla croce, bello nel sepolcro, bello in cielo» (Agostino, En. in Ps. 44,3). Volto di silenzio, che dice amore: volto sempre adorabile

di Anna Maria Cànopi

badessa del monastero Mater Ecclesiae, Orta San Giulio

 

 

Il senso di un pellegrinaggio nuovo 

Che cosa faremo di questi giorni indimenticabili? L’ostensione della Sindone ci porta, ogni volta, nel cuore del mistero più profondo della nostra fede, quello della morte e resurrezione del Signore Gesù Cristo. Di quel mistero vediamo solo i contorni: quelli che l’immagine presente sul Telo ci restituisce. E però quel Volto, le piaghe di quel corpo sono scolpiti nei nostri occhi e nella nostra memoria, la forza di quei tratti è come un “vestito della fede”, esprime il nostro bisogno di immaginare il Cristo Salvatore così come Dio ha voluto, scegliendo di condividere la nostra umanità imperfetta e divisa, lacerata dalla morte e dal peccato. Non è materia di fede, la Sindone. Non è un dogma; né, come forse qualcuno vorrebbe, “la prova della resurrezione”. Ma il pellegrinaggio a quell’immagine è davvero itinerario di penitenza e di conforto, come è nella tradizione cristiana il viaggio ai luoghi santi (Dante, raccontando del Giubileo del 1300, descrive i pellegrini che, spinti «per l’antica fame», vengono a cercare a Roma il volto della Veronica, domandandosi: «Segnor mio Gesù Cristo, Dio verace, / or fu sì fatta la sembianza vostra?»). Quello che conduce alla Sindone è un viaggio di speranza, e nella speranza. Lo abbiamo voluto sottolineare, nell’Ostensione 2015, dedicando un’attenzione particolare ai giovani e al mondo dei malati e di chi è nella sofferenza: due “categorie” che di speranza hanno bisogno, ne comprendono bene il valore essenziale. Ma la parola dell’ostensione, il motto che la caratterizza, è rivolta a tutti: chiediamo di guardare all’«Amore più grande» (Gv 15), il dono che Dio fa a noi di se stesso; una realtà che non può non spingerci a moltiplicare questo stesso amore nel servizio a tutti i fratelli e sorelle, e a realizzare in questo la nostra più profonda vocazione.
Per questo veniamo alla Sindone, in un’ostensione promossa con il concorso di tutte le istituzioni e le forze sociali torinesi e piemontesi. Abbiamo invitato, da Torino, i giovani di tutta Italia e del mondo a fare festa con la famiglia salesiana che ricorda i duecento anni dalla nascita di don Bosco. Con noi ci sarà papa Francesco, che domanda di «lasciarsi guardare» dalla Sindone, lasciarsi interrogare da quel Volto, che parte dalla morte ma ci parla della vita. L’attenzione del Papa è di grande conforto: segnala che la Chiesa intera condivide questo cammino, così particolare e distinto dalle modalità classiche del pellegrinaggio. La Sindone non è “reliquia”, rimane una realtà per molti versi inesplicabile con gli strumenti della scienza e della storia. Ma le migliaia di pellegrini che verranno a Torino ci dicono che questo viaggio ha un senso nella prospettiva della fede. Una fede che ha bisogno di mistero quanto di bellezza.
 
di Cesare Nosiglia
*arcivescovo di Torino, Custode pontificio della Sindone