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Il cantico della fornace

​di Massimo Lippi
Il foco trema nella notte, bello da far paura. Divampa con la sua malìa, con la potenza nefasta di un genio distruttore. È persona viva. Lieta compagnia e festoso tepore nell’intimo della casa a mezze luci dove risplende, sacro. Il foco che dentro la sua mobilissima cresta, ragiona. Oppure dipana ancora e ancora le sue terribili voglie, la sua vorace e temibile cerimonia. Poi di novo attrae insidioso, con la sua voragine azzera ogni cosa nel plateale fumàcchio del suo passaggio. Case e villaggi polverizza e dei boschi trancia via il respiro. Martirizza in cenere e carbone quello che trova e in alte colonne di fumo riduce vaste regioni e città amorose. È di queste sciagure che si nutre il furore del foco, la sua impertinente lingua. Verbo tragico è il foco che s’accende improvviso e muore sconfitto nella sua superba canzone. Trionfo del bruciore infernale e a Pentecoste la fiamma sacra degli Apostoli. Ma il foco è dentro il sogno delle pietre: scintilla che alita nel loro pensiero.
Non sempre il foco è calamità, ma se gli artefici lo accendono con sapienza per dare bellezza alla vita diventa il vettore che trasforma la materia in miracolo d’arte. Allora il foco è lievito che innalza e fermenta le geometrie dell’azione creativa. Vita al pensiero dell’arte, calcina per muraglie e affreschi. Eppure l’uomo se domina qualcosa lo distrugge. Ma non scherzi col foco! Troppo è il suo micidiale calore: la sua crepitante voce che sbrana l’aria negli sterpi. Da sempre ogni civiltà lo corteggia e lo imbriglia e lo slancia come un cavallo focoso, per cavarci altri sogni: statue in bronzo, mattoni e monili e cristalli, vetri fulgenti, ceramiche che rintoccano.
La fusione del bronzo, fino a ieri, mandò in cenere cataste di legna da lastricarci il mare. Bonanno Pisano e Ghiberti e il supremo Donatello e Cellini fecero tagliare boschi per alimentare il foco atto alla fusione dei loro bronzi. Abilissimi fonditori accesero sorvegliati fornelli e fornaci nel cuore delle operose città. Aprirono botteghe del foco tra i vocianti quartieri popolosi. Con infinita sapienza condussero a perfezione modelli per la fusione a cera persa, ricavandone opere immortali. Si ascoltino le pagine memorabili della fusione del Perseo del Cellini che urlava ai garzoni «tormentate i metalli!». Intendeva renderli fluidi nelle cavità delle forme. Risorsa del foco è il genio e questo solo fonde i metalli, non la crudele fiamma.
Rammento ancora con profonda commozione i fonditori che conobbi quand’ero ragazzo, ultima progenie di Vulcano zoppo. Mi parlavano, guardando svagati nel foco ormai lontano di quel tempo che passarono in quelle fumanti officine. Erano ancora bambini, o poco più, quando alimentavano nel riverbero giorno e notte la fornace con legna ben secca. Non dirò il segreto delle essenze che facevano consumare al foco. Niente nelle cose vere avviene a caso, ma per scienza e coscienza. Pareva di ascoltare antiche leggende. Dormicchiavano con un occhio solo, tenere ombre nella notte e quando la vampa accennava a dormire con loro si svegliavano di soprassalto come richiamati dallo spirito insonne dei maestri e dal loro brontolio in fondo alla bottega. Subito caricavano di altri bocconi il foco nuovo.
Oggi in fonderia quel foco è automatica certezza e continuità, industria senza sbavature. Gli Etruschi, invece, bruciarono nelle fornaci legna impastando le loro terrecotte di fumo perché il bucchero, sottile e nerissimo, avesse a memoria il foco. Questi manufatti ebbero da loro e la grazia e la felice leggerezza del pensiero. Nelle loro fornaci ho scorto l’impronta del pollice stampato sulla terracotta: un grido che sfida i secoli, una presenza umana e viva che parla al cuore. Si veda ora il magma del vetro fuso nel crogiolo per abbellire di pitture smaglianti, opere scolpite nell’aria. Finestre che volano via come paradisiache farfalle. Esalta di luci magnifiche il vetro, nel chiaro Giorno del Signore, quale sacrario quotidiano del Risorto.
L’arte del foco è una meraviglia che magari non si vede all’opera, ma è sottesa a ogni opera d’arte. La pietra che il foco sfarina è calce viva che per l’aggiunta di acqua ridiventa pietra ed è calcina e grassello per l’affresco. Calcina: legante durissimo e invincibile per le nostre cattedrali, finché la follia “premurosa” degli uomini non le manda in cenere.