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I luoghi costruiti dalla parola

​Maria Antonietta Crippa
Durante una visita in Grecia al teatro di Delfi – eravamo in pochi sulle gradinate – un ragazzo si portò al centro della cavea e cominciò a scandire i nostri nomi nell’aria tersa, vibrante tra la fitta vegetazione dei monti circostanti.
Le parole risuonarono limpide, non si confusero col paesaggio e non rimbalzarono sulle pietre. Le percepimmo consistenti in sé e soglie al mistero invisibile che ogni nome custodiva. La voce, ci parve, aveva generato un centro, in espansione non solo nello spazio fisico ma anche dal visibile all’invisibile.
Quando essa tacque, il luogo divenne primo protagonista con la propria fisica corporeità multiforme: ci si imposero l’ordine delle pietre e l’immenso e sfolgorante sfondo del paesaggio. Il teatro apparve nella sua essenzialità di frammento archeologico. Non lo percepimmo più come magico sfondo di una presenza viva con esso consonante; era divenuto nuda traccia di un mondo culturale lontano, quasi muto.
Fu un’esperienza di capitale importanza per comprendere il mutevole rapporto tra luoghi e parole. Gli uni e le altre possono infatti confondersi fino a divenire inscindibili: accade nelle più alte espressioni poetiche quando assumono forma e consistenza di immagini. Vengono invece chiamati a convergenza, senza confondersi, là dove individuano identità o genius loci di gruppi umani insediati, che esige propria narrazione per essere comunicato e condiviso anche con i forestieri. Infine, essi si distinguono con una certa nettezza là dove un architetto, o più in generale un progettista, s’impegna nell’invenzione di un luogo che ancora non c’è. Anche a lui sono utili le parole, ma la dimensione costruttiva in cui si coinvolge le trascende in azioni che mirano a far esistere un edificio in quell’autonomia che lo rende luogo ospitale.
L’architettura, ha scritto Paul Valéry (1871-1945), «mostra a un solo sguardo la somma delle intenzioni, delle invenzioni, delle conoscenze e delle forze che la sua esistenza comporta; mette insieme l’opera combinata del volere, del sapere e del potere dell’uomo. Unica tra tutte le arti, e in un attimo indivisibile di visione, l’architettura carica il nostro animo del sentimento totale delle facoltà umane». Benché soggiogato nell’adolescenza dal fascino dell’architettura, nella maturità Valéry optò però per un’indagine, tra le più suggestive e complesse, sul potere, poetico e scientifico, della parola di cui celebrò l’energia, “costruttiva” dell’interiorità della coscienza.
Si è discusso qualche anno fa sul diffondersi dei non-luoghi – di anonimato, desolazione, invivibilità, inabitabilità – nei contesti contemporanei. L’antropologo Marc Augé volle giustamente bollare, con questo neologismo, il diffondersi nel mondo di un’omologazione del progetto abitativo, conseguente al prevalere di logiche economiche indifferenti a bisogni e sensibilità degli abitanti. Una folta schiera di fotografi ha documentato d’altra parte il fatto che, paradossalmente, anche questi non-luoghi vengono in molti casi reinventati da chi li abita. Il monito di Augé resta tuttavia importante, persino imprescindibile.
Da parte mia ritengo che ogni spazio, che trattenga in sé la pur minima traccia umana, sia luogo; penso anzi che ogni frammento del cosmo e, in particolare del pianeta Terra, possa essere riconosciuto tale se in esso si dà voce a parole che definiscono l’essenza stessa del cuore umano: quella di chi cerca Dio.
Lo affermò, in modo insuperabile nelle sue Confessioni, sant’Agostino scrivendo: «Dissi a tutti gli esseri che circondano le porte del mio corpo: “Parlatemi del mio Dio; se non lo siete voi, ditemi qualcosa di lui”; ed essi esclamarono a gran voce: “È lui che ci fece”. Le mie domande erano la mia contemplazione; le loro risposte la loro bellezza. […] Non appare, a chiunque è dotato compiutamente di sensi, questa bellezza? Perché dunque non parla a tutti nella stessa maniera? Gli animali piccoli e grandi la vedono, ma sono incapaci di fare domande […] Gli uomini però sono capaci di fare domande, per scorgere quanto in Dio è invisibile comprendendolo attraverso il creato».