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«Dio vide che era cosa buona-e-bella». Così nella Genesi sono scanditi i giorni della creazione, a sottolineare la dimensione di armonia insita già nel principio del cosmo. Sant’Agostino ci ricorda come «tutte le creature che ci attorniano hanno un loro posto, un loro ordine: anch’esse, ciascuna a suo modo, completano la bellezza dell’universo e quindi lodano il Signore». Sono i nostri sensi – il nostro sguardo, il nostro udito – che faticano a discernere e capire il linguaggio di bellezza della creazione. Avremmo bisogno dall’autentico sguardo contemplativo, della capacità di vedere le cose “in grande”: quella capacità, propria dello sguardo di Dio, che scruta il cuore e il profondo di ogni essere.Quanta bellezza e quanta ricchezza di senso scopriremmo allora anche nelle creature più semplici e mute: dal mondo vegetale a quello minerale è tutta una sinfonia che si leva verso il Creatore.

 «Non è un linguaggio fatto di parole», ci ricorda il salmo 19, ma una voce che possiamo ascoltare con l’orecchio del cuore. Pensiamo a quelle pietre che accolgono in seno animali fossili, diventati a loro volta pietre: sono vere e proprie impronte di vita che hanno attraversato i millenni, una biblioteca minerale, un libro scritto della vita sulla terra… Pensiamo alla fantasia dei colori autunnali che nessuna tavolozza di pittore sa eguagliare, pensiamo all’abbraccio di azzurri tra cielo e mare, al bacio del sole all’orizzonte, al calmo biancore della neve... Tutte parole di vita e di senso, se solo le accogliamo nel cuore. E con il cuore possiamo gustare in pienezza anche l’ineguagliabile bellezza della creazione: sono gli occhi interiori, lo sguardo che va al di là e al di dentro delle apparenze che possono dischiuderci capolavori nascosti nell’umiltà delle cose.

Pensiamo a Gesù, nuovo Adamo, che ristabilisce l’autentico rapporto di armonia tra creature esistente nell’Eden e nelle intenzioni del Creatore: figlio dell’uomo, e figlio di Dio, ha amato la terra, le è restato fedele, mostrandosi un contemplativo della creazione, capace di vedere in essa un dono del Padre e una responsabilità per l’uomo. Riconciliato con la natura, con i lavori dell’uomo, dalla contemplazione della natura ha saputo trarre lezione, consolazione, e ha saputo rispondere al gemito presente in ogni cosa. Non è stato solo il “bel-buon” pastore delle pecore (cfr. Gv 10,10-11), ma anche della natura! E noi, alla sua sequela, di fronte “al deserto che avanza”, di fronte alla terra sempre più desolata, dovremmo imparare da lui a scorgere nella profondità della creazione la signatura rerum, la scrittura delle cose, a cogliere, sì, le lacrimae rerum (cfr. Rm 8,22), ma anche le laudes rerum (cfr. Sal 19,2-5; Bar 3,34-35), la lode che sale a Dio da ogni creatura. Perché la preghiera non è solo un grido che gli uomini levano a Dio: la preghiera è un respiro cosmico che pervade tutta la creazione e la ammanta di bellezza.

di Enzo Bianchi
priore della Comunità di Bose