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E i punti

​Perché da sempre l’uomo crea simboli? Evidentemente sappiamo, per quanto oscuramente, che il vivibile, la vita è “di più” di ciò che è presente e sta già sotto i nostri occhi. E allora i nostri occhi cercano e creano ponti, piste, archi per collegare il vivo presente con altra vita, altro senso.
Gli antropologi fanno risalire alla comparsa della “capacità” simbolica la nascita stessa dell’homo sapiens. Ma perché, dunque, l’uomo avverte – come diceva Charles Baudelaire – di muoversi in una “foresta di simboli”? Credo che sia perché la vita ci è sempre apparsa come un viaggio “rischioso”. Solo chi ha percezione di un rischio in corso, di essere a rischio, insomma solo chi ritiene di muoversi come in una “selva oscura” interroga la realtà evidente cercando di trarne indizi su ciò che invece così evidente non è.
Vi siete mai sentiti persi in un viaggio? Sono esperienze rare oggi, grazie ad ausili tecnologici di vario genere. Ma può capitare, a me è successo varie volte. Allora si cercano segni. L’uomo che sa di rischiare nel suo viaggio qualcosa di più della reputazione o dei soldi è un uomo che interroga, legge il reale e lo interpreta attraverso una prodigiosa capacità di creare simboli. Segni ne vediamo ovunque sulla terra, a volte incantevoli nella loro maestosità, a volte commoventi per la loro regale povertà.
Oggi, si dice un po’ frettolosamente, la capacità simbolica sembra – almeno in Occidente – in crisi. Le misure generali in questo genere di cose sono azzardate. Credo invece che siano moltissime le anime inquiete che generano simboli. Semmai siamo in una proliferazione di attività simbolica (l’immissione furiosa e “psicotica” in rete di foto evocative, raffigurazioni, o di cosiddetti emoticon) ma per così dire a bassa tensione, a modesto contenuto di rischio. Però anche in un ragazzetto che manda un fiore pre-confezionato alla ragazzetta che lo attrae, oscuramente brilla la medesima necessità di attingere a qualcosa di più del visibile e dicibile presente.
La “permanenza” del simbolo è segno che il viaggio non è tranquillo. E che è libero. Anche nelle società dove domina una ideologia che pretende di aver chiarito il senso del viaggio umano (il benessere, o il prestigio, o la forza dell’impero o dello Stato, o di un Dio a nostra immagine) donne e uomini cercano simboli. La diffusione larga di tarocchi, astrologia, e altre sofisticherie provenienti in Occidente da culture da nord a sud indica che il senso del viaggio non è così chiaro in terre abitate dal culto del benessere e da un cristianesimo blando, ridotto a morale immanente. Anime inquiete cercano simboli, anime morte no.
Una questione riguarda il cattolicesimo. L’esperienza unica, tremante dell’evento del Dio incarnato entra nel proprio dell’attività simbolica come deflagrazione. L’incarnazione non è un “simbolo”, il sacramento non lo è. E che diventa dunque l’attività simbolica in una esperienza che per così dire ne ha modificato, invertito lo spazio?
Se Dio è in una carne, se lo mangio in un pane, realmente, che spazio ha ancora il simbolo nella conoscenza della non visibile Alterità? Se l’attività simbolica non è convertita dall’Evento cristiano significa che non è convertito veramente l’uomo. Ma in cosa consiste tale conversione? Certo, il cristiano ha simpatia verso ogni simbolo di uomini inquieti in viaggio, in ricerca. Ma la mancata conversione del simbolico genera ad esempio tante mostruosità estetiche in chiese e luoghi cattolici.
Nei simboli cristiani, come mostrano i primi segni creati di nascosto, la tensione conoscitiva diventa il fissare una presenza amata. Un amore fame di Lui, ringraziamento a Lui, rischio di perderLo, un desiderarLo vicino.
La “scomparsa” di Cristo e della nostra fame di Lui ha ridotto tanta creazione simbolica cristiana – non solo artistica – a penosa, muta simbologia di una ideologia senza rischio. La croce è perseguitata, non le nuvolette con scritto “amore”, “pace” o anche “Dio”.

di Davide Rondoni